Mentre alla Camera si litiga sulla prescrizione, al Senato a dir poco si discute sulla sicurezza. Alla fine Salvini e Di Maio diranno come al solito che tutto va bene e che la maggioranza è compatta, ma basta vedere cosa è successo ieri al decreto fortemente voluto dal ministro degli Interni per capire come stanno davvero le cose. Giunto a un passo dalla sua approvazione, il provvedimento con le nuove e più restrittive norme sull’immigrazione ha subìto invece un brusco e improvviso stop. A comunicarlo ci pensa nel pomeriggio il relatore di maggioranza, il leghista Stefano Borghesi, chiedendo una sospensione dei lavori quando ormai tutti davano per scontato di sentire il ministro per i rapporti con il parlamento Riccardo Fraccaro chiedere la fiducia sul maxiemendamento messo a punto dal governo. Invece no. Dall’Algeria si fa sentire anche Giuseppe Conte: «Porre la fiducia è una decisione da non prendere mai a cuor leggero, vengono valutate tutte le circostanze. Domani scioglieremo la riserva», fa sapere il premier.

Dietro lo slittamento ci sarebbe più di un motivo, frutto delle fibrillazioni sempre più forti nella maggioranza giallo verde. A partire dal bisogno, comune a Lega e 5 Stelle, di inserire nel maxiemendamento almeno qualcuna delle misure che non sono riuscite a passare in Commissione Affari costituzionali. Come la previsione di sanzioni amministrative per chi organizza un blocco stradale, voluta dai grillini, o un incremento dell’utilizzo delle videosorveglianza nelle strade, sponsorizzato dal Carroccio. Tutte cose non particolarmente rilevanti e lontane anni luce dalle modifiche chieste invece da giorni dai senatori Nugnes, Fattori, De Falco e Montero, i quattro dissidenti del M5S che volevano invece una riscrittura delle norme sulla protezione umanitaria e sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo. Punti che se rimarranno invariati, ha ricordato ieri anche la senatrice di +Europa Emma Bonino intervenendo in aula, fanno del decreto un provvedimento «masochista e autolesionista che aumenterà l’illegalità».

Riscritture a parte, quanto accade rappresenta soprattutto uno stop alla Lega e in particolare a Matteo Salvini. Il titolare degli Interni dava per scontato di avere il decreto già in tasca e invece oggi, una volta tornato dal viaggio in Ghana, dovrà provare a sbloccare la situazione. Magari cedendo qualcosa nella trattativa in corso alla Camera sulla prescrizione. «M5S e Lega interrompono i lavori per il loro mercato della vacche», accusa il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci. «Siamo ormai all’arbitrio più totale e a un ostentato disprezzo nei confronti del parlamento», rincarano la dose i senatori di LeU Loredana De Petris e Vasco Errani.

A far alzare la tensione nel Movimento ci sono poi proprio i quattro senatori decisi a non votare ilo decreto così com’è. Dopo aver assicurato che non ci saranno sanzioni pe r i dissidenti, ieri dalla Cina Di Maio ha rinviato ogni decisione ai probiviri, lasciando così intendere che qualche provvedimento non sarebbe del tutto escluso. Più esplicito del capo politico è stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Stefano Buffagni: «Se il senatore De Falco non si ritrova nella maggioranza, sono certo che si dimetterà e tornerà a fare il suo lavoro», ha detto.

Per la verità il rischio che il provvedimento non passi è davvero basso, anche se la Senato la maggioranza si sostiene grazie a una manciata di voti. Nel caso il governo dovesse porre la fiducia la possibilità di un voto contrario dei quattro senatori dissidenti sembra ormai svanita. Ieri durante il dibattito in aula De Falco ha discusso a lungo con le colleghe Nugnes e Fattori, queste ultime decise a uscire dall’aula al momento del voto. Farà così anche Matteo Montero ed è probabile che alla fine anche De Falco decida di non votare contro il governo. Salvini inoltre può sempre contare sui voti di Fratelli d’Italia, pronti ad andare in soccorso dell’esecutivo a patto che rinunci alla fiducia.