Mentre la maggioranza chiude i giochi, fuori dal palazzo centinaia di persone protestano contro il decreto Salvini su sicurezza e migranti. La manifestazione si svolge a Roma in piazza San Silvestro. Ci sono i migranti e l’Arci, Link e i movimenti per la casa, la comunità curda e i volontari di Baobab. Scendono in piazza insieme: «Non siamo invisibili ma indivisibili», dicono riecheggiando lo slogan della manifestazione antirazzista di appena due settimane fa. Alcuni tentano di arrivare a Montecitorio ma vengono bloccati e denunciati per manifestazione non autorizzata. Viene sequestrato lo striscione con la scritta «Cambiate il decreto». Ma di cambiare il decreto non c’è speranza: ancora una volta la maggioranza si trincera e il M5S gira la testa di fronte a proteste e pressioni dalla base.

Lo stesso Luigi Di Maio l’aveva detto, in mezzo alle crepe che si aprivano in maggioranza doveva trionfare la realpolitik: «Il testo non può tornare in seconda lettura al senato, non possiamo proprio permettercelo». Così, in mattinata in commissione affari costituzionali si apprende che i grillini hanno deciso di ritirare i loro emendamenti . «È l’esito degli accordi presi dai vertici», gongola soddisfatto il leghista Gianluca Vinci nel mezzo dei lavori. Il Pd abbandona la discussione per protestare contro i tempi ristretti. «Eravamo disposti a lavorare anche sabato e domenica ma non c’è nulla da fare, paghiamo le divisioni interne alla maggioranza», spiega Stefano Ceccanti.

Il presidente della commissione è il grillino Giuseppe Brescia, che pure si era detto poco convinto delle misure previste dal decreto. Circola qualche voce dissonante. «Sono delusa – si rammarica la deputata Doriana Sarli, che figura tra quelli che avevano richiesto delle modifiche – Questo decreto resta indigeribile. Non è questo che auspicavo entrando alla camera».

Il testo arriverà in aula lunedì, il governo porrà la questione di fiducia. Sarli insiste: «Devo riflettere non sulla fiducia all’esecutivo ma sul decreto. Votare e sostenere qualcosa che non condividi e sulla quale nessuno ha potuto neanche fare dei ragionevoli emendamenti non è facile». «Adesso faremo di tutto perché sia legge entro il 3 dicembre», annuncia Salvini.

Dopo le, relative, tribolazioni al senato, dove il dissenso tra i 5 Stelle si era concretizzato nella presa di parola di appena cinque eletti (su un gruppo di 109), quando il testo era arrivato alla camera si era appreso dell’esistenza di una lettera di protesta con la firma di 19 deputati grillini, presto divenuti 18. Dalla questione specifica (pochi dissensi su sicurezza e giro di vite repressivo, qualche dubbio sui migranti) si ponevano problemi generali sulla mancanza di democrazia dentro il gruppo parlamentare. Chiedevano maggiore condivisione delle scelte ma non hanno voluto essere bollati come «dissidenti», tanto che appena dai vertici li si era messi di fronte all’esigenza di rispettare gli accordi di governo avevano ritirato tutto. Di Maio aveva incassato il dietrofront e li aveva liquidati, un po’ sprezzante: «Si tratta solo di un atto di testimonianza, non c’è nessuna modifica in vista».

Qualcuno dei 5 Stelle in commissione però aveva deciso ugualmente di dar seguito alle richieste dei colleghi: di emendamenti ne erano spuntati quattro. Proponevano che si ampliasse la protezione speciale per alcune fattispecie di migranti e che si rivedesse la parte sugli Sprar. Modifiche scomparse assieme al quinto emendamento, anch’esso ritirato, che si occupava di beni confiscati e che era stato firmato da una decine di deputati del M5S, tra di essi la presidente della commissione giustizia Giulia Sarti. Mentre la camera chiude i battenti per il fine settimana qualcuno dà alle fiamme una piccola ruspa di plastica. Il piccolo moto interno alla maggioranza si è fermato presto. Resta, inascoltata, la protesta della piazza.