Non bastano più di trenta morti per far trovare all’Europa un minimo di unità per combattere il terrorismo. Convocato d’urgenza dopo gli attacchi di Bruxelles, il vertice dei ministri degli Interni e della Giustizia dei 28 si è chiuso ieri praticamente con un niente di fatto. Come al solito, verrebbe da dire. Alla fine tante promesse, come accadde dopo le stragi di Parigi, e tanti impegni da realizzare (forse), ma senza fretta. Quasi tutti entro giugno, vale a dire entro la fine della presidenza olandese.

Di fatto si riparte dalla lista dei nomi dei passeggeri in entrata e in uscita dall’Ue e nei voli interni. Il famoso Pnr di cui si parla da mesi e che, oltre al nome di chi viaggia, dovrebbe registrare carta di credito usata per acquistare i biglietto, data di imbarco e destinazione. Ora i 28 promettono di approvarlo entro aprile, ma a Bruxelles era stata dato per fatto già a dicembre scorso con il soliti squilli di trombe e dichiarazioni altisonanti, salvo poi restare imbrigliato nelle solite divisioni tra chi ritiene la misura un attentato alla privacy e chi invece è convinto che sia solo parzialmente utile. In effetti visto che a compiere gli attentati sono persone nate e cresciute in Europa e alle quali, come dimostrano gli attentati di novembre, basta noleggiare una macchina a Bruxelles per seminare morte a Parigi, va da sé che sapere chi ha volato e per dove serve a poco. Misura buona al massimo per individuare eventuali foreign fighters di ritorno dalla aree di guerra. Sono 5.000 quelli partiti dall’Europa diretti in Siria, ha spiegato ieri Gilles de Kerchove, coordinatore anti terrorismo europeo, spiegando di non essere però in grado di dire quanti di questi sono tornati indietro e quanti sarebbero pronti a combattere. «I forti vincoli familiari tra i membri di questi gruppi di terroristi – ha aggiunto de Kerchove – rende più difficile infiltrarsi». Comprensibile, viste le prova di efficienza date finora da certi servizi di sicurezza.

Le misure cosiddette concrete finiscono qui. Niente procura europea antiterrorismo, sulla quale il ministro della Giustizia italiano Andrea Orlando insiste da mesi e continuerò a farlo anche oggi al consiglio dei ministri della Giustizia europei ma senza grandi speranze. Troppe gelosie tra paesi per fare u passo avanti, almeno oggi. I 28 hanno invece stilato un decalogo Ue anti terrorismo, una specie di lista delle buone intenzioni da realizzare entro giugno. Si va dall’impegno di rafforzare gli sforzi nazionali per indagare sulle reti responsabili degli attentati di Parigi e Bruxelles, al «rapido» completamento della legislazione in materia di lotta al terrorismo, alla banca dati europea in materia di sicurezza per finire con al promessa di utilizzare in maniera più regolare squadre investigative comuni all’istituzione di una squadra di collegamento tra esperti nazionali della lotta al terrorismo. Naturalmente non poteva mancare l’impegno a costituire, sempre entro giugno, la famosa guardia costiera e di frontiera europea per controllare meglio i confini dell’Unione, come se non sapessero che i terroristi sono cittadini europei.

«Chi non realizza le misure già concordate, sarà ritenuto responsabile per il futuro», ha detto a termine dell’incontro il Commissario Ue per gli Affari interni e l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, per il quale fra gli stati membri è mancata la fiducia, con la quale si sarebbero potuti forse evitare gli attacchi. «Gli autori degli attacchi di Bruxelles erano noti ai servizi di intelligence, così come quelli di Parigi» ha detto sollecitando una maggiore condivisione di informazioni. In futuro, naturalmente.

Il ministro degli Interni Angelino Alfano ha annunciato infine di voler presentare un piano anti-radicalizzazione in Italia «per evitare che venga piantato un seme che poi dia, negli anni a venire, un frutto avvelenato».