Le istituzioni di garanzia fanno sentire la loro voce. Il Presidente della Repubblica promulgando con riserva la legge sulla legittima difesa, i giudici ordinari facendo venir meno il divieto di iscrizione all’anagrafe per gli stranieri. Entrambi in difesa della superiore legalità costituzionale.

Non è la prima volta, peraltro, che il Capo dello Stato, nel momento stesso in cui appone la firma necessaria per fare entrare in vigore gli atti normativi dell’attuale maggioranza, rende pubbliche le proprie perplessità tramite una lettera indirizzata agli organi politici (Governo e Parlamento).

GIÀ NELL’EMANARE il decreto sicurezza, Mattarella aveva rilevato la necessità di far comunque rispettare «gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia». Ora, la magistratura ha dato seguito alla indicazione del Presidente fornendo una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa sull’iscrizione anagrafica. Un’ordinanza equilibrata che si è limitata a far prevalere – come doveroso – i principi costituzionali sulle decisioni delle maggioranze parlamentari.

In verità, sono molte le parti della legge sulla sicurezza che sollevano corposi dubbi di costituzionalità, come pure si sospetta della loro compatibilità con la normativa internazionale (aspetti che abbiamo puntualmente esaminate su queste pagine in diverse occasioni). È facile dunque prevedere, in un prossimo futuro, l’intervento di altri giudici: la Corte costituzionale, nonché Lussemburgo e Strasburgo.

Col tempo è possibile, dunque, che le parti più lesive dei diritti fondamentali delle persone possano essere eliminate, limitando almeno un poco la violenza securitaria e il «diritto antiumanitario» della normativa attuale.

È VEROSIMILE che una sorte analoga spetti alla legge sulla legittima difesa. La lettera del Presidente della Repubblica, rivolta formalmente al Parlamento e al Governo, pare anch’essa indirizzata in primo luogo ai giudici. Essa è rivolta a fornire un’interpretazione costituzionalmente compatibile della normativa appena promulgata. Contro la retorica propagandistica contenuta nello slogan «la difesa è sempre legittima», il Presidente ricorda la necessità di un controllo del giudice per l’accertamento della «portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta».

In poche e chiarificatrici parole, richiamando la necessità di salvaguardare anche in questo caso i principi costituzionali, il Presidente ha smontato la ratio persecutoria della legge, riaffermando che la difesa è legittima se proporzionata all’offesa, altrimenti essa costituisce un eccesso da perseguire penalmente. È allo Stato – scrive ancora il Presidente – che spetta la «primaria ed esclusiva responsabilità» nella tutela dell’incolumità e sicurezza dei consociati. È per questo che la giustizia privata non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento né ai giudici può essere impedito l’accertamento dei fatti per verificare la congruità della reazione alle offese subite anche in casa propria. In definitiva la lettera del Presidente rappresenta un forte richiamo ai principi costituzionali in tema di ordine pubblico.

FACILITATI dall’autorevole interpretazione fornita dal Presidente, c’è ora da aspettarsi che i giudici, nel dare attuazione alla nuova normativa, non si facciano troppo intimidire dalle formulazioni indeterminate e «politico-propagandistiche» contenute nel testo, ma, anche in questo caso, ne forniscano una interpretazione costituzionalmente orientata, continuando a svolgere gli accertamenti necessari in tutti i casi di legittima difesa.

Sembra dunque emergere una resistenza alle leggi e alle prassi discriminatorie quando queste travalicano il confine dello Stato costituzionale e di diritto da parte delle istituzioni di garanzia: Quirinale e giudici, in dialogo tra loro. Una reazione legittimata dalle rispettive competenze istituzionali. Spetta infatti ai giudici – sollecitati dal rappresentante dell’unita nazionale – garantire i diritti costituzionali, anche – soprattutto – nei casi in cui questi rischiano di venir compromessi dai poteri costituiti che operano oltre il costituzionalmente consentito. Non possono però spingersi oltre. Pertanto, seppure si riuscisse ad espungere dall’ordinamento – in modo più incisivo quando sarà il turno della Consulta – le questioni più propriamente incostituzionali, rimarrà comunque in vigore una regolamentazione dell’ordine pubblico che fa dello straniero e del diverso un capro espiatorio, riducendo le tutele e le forme di integrazione, sollecitando il privato a farsi giustizia da sé.

PER CAMBIARE il merito delle politiche securitarie, passando da una concezione che si basa sulla paura dell’altro e fomenta l’odio sociale, ad una concezione che ricerca un difficile bilanciamento tra le ragioni dell’ordine pubblico con quelle del rispetto dei diritti delle persone, non possiamo confidare sulle decisioni dei giudici o sui moniti del Presidente della Repubblica. Dovremmo avere soggetti politici attivi in grado di ribaltare egemonie culturali diffuse. Di questo si sente grande mancanza.