Un candidato «civico» per non legare plasticamente il voto in Sicilia con le politiche e raggiungere un duplice obiettivo: mettere al riparo il Pd di Renzi, il cui scopo è di ritornare a fare il premier, e aggregare come valore aggiunto Leoluca Orlando con la sua «lista dei territori» che in teoria dovrebbe mobilitare parte di quegli amministratori locali senza simbolo. Alla base del piano il coinvolgimento dei centristi di Casini, di Mdp e di Si, mossa con la quale Orlando riuscirà a riconquistare la poltrona di sindaco sotto lo slogan del «modello Palermo». Una strategia pianificata a tavolino, come confermano diverse fonti al manifesto, e rilanciata in una riunione, qualche mese fa, al ministero per le infrastrutture con Graziano Delrio, Lorenzo Guerini e Orlando. Avanti tutta anche per le regionali. Renzi è riuscito a convincere i suoi in Sicilia della bontà del progetto, soprattutto Davide Faraone impegnato da almeno due anni a fare opposizione a Rosario Crocetta nonostante fosse al governo con tre assessori in giunta. Anche il sottosegretario, alla fine, ha dovuto arrendersi all’ordine di scuderia. Tutto sembrava filare liscio, poi è arrivato Angelino Alfano.

Quando Renzi ha capito di potere recuperare il leader di Ap, con il quale era calato il gelo, la strategia ha preso una piega diversa. E così il voto in Sicilia è diventato il pretesto per riallacciare quel rapporto che s’era ridotto ai minimi termini; tant’è che una parte di Ap, soprattutto i dirigenti delle regioni del nord, spingevano per il ritorno del figlio prodigo sotto le ali di Silvio Berlusconi. È in quel momento che l’architettura politica pianificata dal Nazareno con Orlando ha cominciato a vacillare, fino a rompersi. Renzi è riuscito a convincere Orlando a farsi carico anche di Ap, dandogli il mandato di trattare con Mdp e Si; ma è proprio qui che il piano è venuto allo scoperto. Alfano è riuscito a legare il voto in Sicilia con quello per le politiche ottenendo da Renzi il via libera a un accordo per la legge elettorale e liste condivise al senato se la norma non sarà modificata. Un autogol clamoroso quello di Renzi; Mdp e Si hanno abbandonato il «modello Palermo» poiché per Bersani sarebbe stato complicato fare la campagna per le politiche essendosi alleato nell’isola con Alfano, e il voto in Sicilia s’è trasformato proprio in quello che il leader del Pd non voleva: un antipasto delle politiche.

In più s’è aggiunta la «grana» Crocetta. Bistrattato e lasciato ai margini, il governatore della Sicilia, dopo avere incassato i giudizi positivi da parte del suo partito sui cinque anni di legislatura, chiede il conto al Pd. E attacca: «Se qualcuno pensa che sia l’ideologo della divisione del centrosinistra si sbaglia alla grande. Io, i miei compagni e i miei amici siamo per una proposta unitaria di confronto tra le forze politiche, ma abbiamo assistito a un progetto lanciato senza alcuna verifica democratica». Insomma, nessuna imposizione da Roma, né ai piani segreti. «Io vengo da una lunga militanza, per me il dado è tratto quando ci sono delle decisioni democratiche assunte e non quando qualche potente le assume – attacca – Se hanno deciso di rompere e di non accettare il confronto con il presidente uscente e con una forza politica, non sono io responsabile». Il governatore ribadisce che «non c’è alternativa alle primarie, io non sto rompendo con la coalizione, sto facendo una proposta e chi dice no vuol dire che è così arrogante da pensare che basta mettere insieme quattro notabili per vincere». Crocetta è netto: «Penso che il progetto Micari sia perdente: non cammina con le gambe della società e dei partiti della coalizione». E rincara: «È una sconfitta annunciata, nessuno se la prenda col segretario siciliano dei dem Fausto Raciti. Altri non hanno l’obiettivo di vincere le elezioni; hanno l’obiettivo di farmi fuori. Il progetto Micari è nato a Roma con Orlando che ha fatto come con le amministrative. È andato a Roma, si è fatto candidare dal Pd e poi ha detto che era “civico”, noi gli abbiamo fatto una legge che con il 40% vinceva e poi ha fatto tutto da solo. Io non posso accettare che la Sicilia venga commissariata da Roma». Il messaggio a Renzi è chiaro: «Non temo la corsa solitaria».