I primi li hanno avvistati che ancora non era mezzanotte. Se ne stavano uno attaccato all’altro sopra un gommone che è stato affiancato da una motovedetta della Guardia di finanza che li presi a bordo e trasportati fino a Pozzallo, nel siracusano. 95 immigrati, tra i quali 20 donne (4 incinte) e un neonato provenienti da Eritrea, Somalia e Mali. Passano poche ore e la nave militare Bettiga intercetta a 40 miglia a sud di Lampedusa un barcone in difficoltà. L’allarme lo aveva lanciato via radio un peschereccio tunisino chiedendo l’intervento dell’unità in servizio di pattugliamento nel Canale di Sicilia. A bordo della Bettiga sono saliti in 78 che sono stati trasportati nel porto di Reggio Calabria dove sono giunti in mattinata. Gli ultimi 17, tra i quali una donna, sono saliti invece a bordo di una delle due motovedette dell Guardia costiera accorse in aiuto e sono stati fatti sbarcare a Lampedusa. Altri 250 immigrati sono stati invece intercettati da un pattugliatore d’altura maltese poco prima delle 3 del mattino a circa 55 miglia da Capopassero. Sul posto sono intervenute tre motovedette della Guardia costiera che hanno scortato l’imbarcazione, un peschereccio di 15 metri azzurro con le bande gialle sulle fiancate e iscrizioni in arabo fino a Portopalo. A bordo somali, eritrei e qualche egiziano, tra i quali anche una decina di bambini. Tutti sono stati accolti nello spazio allestito dal Comune davanti al centro ittico e riforniti di acqua e cibo. «Sembra che siano in buone condizioni », ha detto il sindaco, Michele Taccone, al loro arrivo. «Al centro verranno identificati e poi trasferiti ai centri di prima accoglienza». E’ un flusso continuo. Complici le buone condizioni del mare, ma soprattutto la disperazione che li spinge a fuggire dai Paesi d’origine spesso devastati dalla guerra. E l’arrivo degli egiziani potrebbe essere solo l’inizio di un’ondata migratoria molto più consistente. Arrivano e vengono accolti con generosità dalle popolazioni dei paesi dove sbarcano. Nelle ultime 24 ore in Sicilia ne sono arrivati in tutto 500, 9.000 dall’inizio di luglio. Uomini, donne e bambini che poi vengono smistati nei contro di identificazione ed espulsione e, nel caso non facciano richiesta di asilo politico, spesso rispediti indietro, verso quelle realtà di fame e violenza dalle quali erano fuggiti. Viaggi inutili, anche se costati migliaia e migliaia di euro pagati agli scafisti di turno. Perché così prevede la legge, quella Bossi-Fini che per anni è stata il fiore all’occhiello dei precedenti governi Berlusconi, quando la politica sull’immigrazione la dettava la Lega Nord. Ma che oggi, anche all’interno del Pdl, c’è chi pensa che vada archiviata. «E’ giunto il momento di avviare una seria riflessione sulla legge Bossi-Fini e, più in generale, sulla disciplina che regola l’immigrazione», ha detto ad esempio ieri Mara Carfagna, portavoce del gruppo alla Camera, che si è anche detta convinta che la «sola repressione è un costo sociale troppo elevato da sostenere nei confronti di chi fugge dalla disperazione. Non si può più – ha proseguito l’ex ministro – considerare la maggior parte di questa povera gente come dei semplici clandestini». Senza parlare delle difficoltà che una politica solo ed esclusivamente repressiva ha provocato e continua a provocare alle popolazioni locali, costrette loro malgrado a fronteggiare le emergenze da sole. Come a Pozzallo, dove il centro di prima accoglienza, predisposto per ospitare 130 persone, con gli arrivi della scorsa notte se ne ritrova quasi 400. «Ospitali, accoglienti e disponibili certamente sì, ma fessi no», ha detto il sindaco del paese, Luigi Ammatuna, che ha invitato il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge a visitare il centro. «Il comune vanta un credito di oltre 650 mila euro con lo Stato, eppure continuiamo ad anticipare soldi per i pasti e per gli indumenti per chi arriva qui da noi – ha proseguito il primo cittadino -. Ma a causa del sovraffollamento c’è un fortissimo disagio dei volontari, della protezione civile, delle forze dell’ordne e ovviamente degli stessi migranti».