Un tempo erano il motore dell’industria siciliana. Si estraeva lo zolfo, di cui la Sicilia è piena, e poi il salgemma. Delle miniere di Sicilia hanno parlato Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia e Giovanni Verga nella novella Rosso Malpelo. Piccole e grandi cave ora dismesse, da cui un tempo si estraeva anche l’amianto che oggi, nelle giornate di vento, si disperde tutt’intorno per le verdi vallate.

Intorno a questi luoghi silenziosi, un tempo sorgevano gli antichi villaggi dei minatori che nel corso degli anni sono stati trasformati in discariche a cielo aperto. E oggi, dopo i cumuli di immondizia, a seppellire un pezzo di storia siciliana arriva anche un nuovo progetto della regione Sicilia: il «Piano di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e bonifica, ai fini della difesa dei pericoli derivanti dall’amianto». Tra i siti individuati dall’assessorato alle energie, per lo smaltimento dell’amianto figurano anche le miniere di Bosco Palo e Pasquasia, fra le province di Enna e Caltanissetta.

Su queste cave di tanto in tanto la magistratura ha aperto e chiuso indagini per inquinamento ambientale oppure ha bloccato appalti in merito a bonifiche forse mai realizzate. «Abbiamo appreso dalla stampa che fra i siti scelti per smaltire l’amianto ci fossero le miniere di Bosco e Pasquasia, di cui da anni chiediamo la bonifica», afferma Renzo Bufalino, sindaco di Montedoro. Il paese si trova vicino alla miniera di Bosco, in disuso dagli anni Ottanta, che anno dopo anno è sprofondata rendendo la zona geologicamente fragile. Un’area, questa, resa particolarmente pericolosa anche dalla presenza dell’amianto mai smaltito per via dei costi onerosi.

Una sorte quasi identica è toccata anche alla cava di Pasquasia, invece risanata solo in una prima fase iniziale.
«Il piano amianto è necessario per mettere un materiale cosi pericoloso in sicurezza. Ma dovevano ascoltare in primis i pareri del territorio», dice Bufalino. I sindaci dei comuni interessati dal piano amianto, incluse le amministrazioni di Serradifalco e San Cataldo, si sono costituiti in un fronte comune per chiedere alla commissione ambiente di valutare strade alternative; come le cave sequestrate alla mafia e già riportate nel documento presentato dalla regione.

SECONDO UNA RICERCA CONDOTTA dall’ordine regionale Geologi di Sicilia, sul territorio nazionale sarebbero presenti più di 2 miliardi di metri cubi di coperture in cemento amianto. Queste stime si ripropongono pure a livello regionale, specie in zone altamente industrializzate. Biancavilla, in provincia di Catania, ad esempio, è una città che negli anni Settanta è stata interamente costruita prelevando materiali di edilizia da una cava di amianto. Insieme a Gela e a Milazzo, Biancavilla figura fra le aree siciliane più industrializzate che sono state inserite tra i siti di interesse nazionale (Sin).

«Negli anni ’90 volevano metterci le scorie radioattive. Ci sono stati esperimenti dell’Enea (Ente nazionale per l’energia atomica) e si disse che la mafia era entrata in questo giro di affari. Quante cose si sono dette negli anni. Vero, qualche interesse la mafia doveva pur averlo. Pensi che ci lavorava un vero mafioso, Leonardo Messina, oggi collaboratore di giustizia», afferma Giuseppe Cammarata dell’Anpi di Cammarata commentando la scelta della regione di smaltire l’amianto a Pasquasia, che lasciamo alle spalle mentre ci dirigiamo lungo la statale che porta a Caltanissetta, dove si colloca la miniera di Gessolungo. Sebbene questa cava non rientri nel piano regionale, essa rappresenta lo scontro fra la storia di questi luoghi e l’attuale volontà di svuotarle della memoria che conservano. «È questa la fine che devono fare le miniere? Raccontano la storia dei nostri padri e dei nostri nonni. Ora vogliono per sempre seppellirle con l’amianto», dice Cammarata. Lui, Giuseppe, ha conosciuto tanti minatori che oggi non ci sono più proprio per le malattie contratte sul lavoro. Le miniere sono stati luoghi malsani, dove a morire erano giovani e meno giovani. E a ricordare le morti dei più piccoli avvenute nelle cave, proprio qui vicino è sorto il «cimitero dei carusi».

«Questa scelta suona come l’ennesimo schiaffo alla dignità e alla storia mineraria di un territorio che desidera riscattarsi. Le cave di zolfo e sale sono due elementi che ricostruiscono la nostra identità. Non a caso con una delibera ho indicato il mio comune come il paese delle stelle e dello zolfo», spiega il sindaco.

PER ORA DI STELLE E DI ZOLFO neanche a parlarne. Ciò che preoccupa i cittadini del comprensorio è soprattutto l’alto tasso di tumori che nessuno ha mai contato fino a qualche anno fa. Nemmeno l’Istituto Superiore di Sanità ha una documentazione in merito e a Caltanissetta, provincia in cui ha sede il petrolchimico di Gela, il registro dei tumori è stato attivato da pochi anni. Fra le neoplasie più diffuse compare il tumore alla tiroide, e per capire come stia il territorio bisognerebbe analizzare le falde acquifere.

Tutto questo accade nell’entroterra povero dell’isola. «La Sicilia è stata la prima regione a esportare lo zolfo in tutto il mondo. Più volte ho proposto di realizzare l’ecomuseo del zolfo e del sale, che ad oggi si trova nelle Marche. Perché non tentare il recupero delle cave non ancora esaurite? Si creerebbe occupazione. Forse è arrivato il momento di prendere uno di quei treni che la Sicilia ha perso troppe volte», conclude Bufalino.

«Scegliere di continuare a danneggiare ancora le miniere già zeppe di amianto è, per principio, una scelta sbagliata e amorale. Rendere la Sicilia centrale luogo di stoccaggio per l’amianto equivale a vedere questo territorio come una discarica», dichiara Leandro Janni di Italia Nostra. «Non è mai stato fatto molto per smaltire questo minerale. A San Cataldo, ad esempio, c’è una fabbrica abbandonata in pieno centro cittadino. Ci sono stati molti morti per tumore. L’amianto è ovunque, ma la gente non lo vede».