A Caltanissetta nei circoli sono stati affissi manifesti con la scritta «chiuso per dignità», ad Agrigento un centinaio di giovani si è auto-sospeso dal partito, un pezzo della classe dirigente a Trapani ha deciso di incrociare le braccia, a Palermo il movimento dei «partigiani del Pd» – che raggruppa una fronda di quarantenni con le resistenze elettrice nelle giacche, come ai tempi delle stragi del ’92 quando le indossarono come reazione alla mafia – non farà campagna elettorale.

Un quadro disarmante per il Pd di Renzi che nell’isola rischia di pagare un conto salatissimo per la scelta di mettere in lista candidati senza coinvolgere l’intero gruppo dirigente siciliano: tra questi il rettore Pietro Navarra, nipote di un capomafia; Giuseppe Sodano, figlio di Calogero l’ex sindaco forzista di Agrigento condannato in via definitiva per abuso d‘ufficio; l’ex An Leonardo Piampiano.

S’è mosso anche il segretario siciliano dei dem Fausto Raciti, che ha annunciato le dimissioni subito dopo il voto del 4 marzo: lo farà con tre mesi d’anticipo rispetto al suo mandato che era stato prorogato fino a giugno per poi celebrare la fase congressuale.

Insomma, sembrano lontani anni luce i tempi delle primarie quando i gazebo nelle piazze riuscivano in qualche modo a rianimare il malato riaggregando un elettorato sempre più frustrato dalle faide tra correnti. Questa volta il quadro clinico però appare grave.

L’umore di una parte del vertice è sotto i piedi, il sentimento di una fetta dei giovani del partito è negativo, i “trombati” fomentano rabbia, i big rimasti col cerino in mano stanno alla finestra.

C’è aria di redde rationem. Non subito, però. La dead line è il 5 marzo, quando dalle urne usciranno vincitori e sconfitti. Allora si capirà se il Pd si trasformerà nel PdR (Pd di Renzi), se il segretario partirà dalla sconfitta per creare un nuovo soggetto politico, se andrà avanti con le larghe intese.

In questa fase, a Renzi non rimane che affidarsi ai suoi: il luogotenente Davide Faraone che ha ispirato le liste elettorali, Leoluca Orlando fresco di tessera con la sua truppa di fedelissimi tra cui il candidato Fabio Giambrone, e Sicilia futura, il movimento dell’ex ministro Totò Cardinale che, sotto l’ala protettiva di Luca Lotti, è riuscito a ricandidare la figlia Daniela (già al secondo mandato) provocando un terremoto tra i dirigenti di Caltanissetta che hanno firmato vani appelli al segretario Renzi. Quel nocciolo duro, tranne Ap di Alfano che intanto s’è liquefatto, che aveva condotto il Pd alla disarmante catastrofe delle elezioni regionali dello scorso novembre.

Un “modello padronale” del partito che i “partigiani del Pd” hanno deciso di contrastare mettendoci la faccia. La rivolta è partita dall’interno della segreteria regionale, con lo slogan “5 marzo, non cambiamo partito ma cambiamo il partito”. Per sancire lo strappo, quattro dirigenti, che guidano la ‘rivolta’, hanno rimesso il mandato nelle mani di Raciti: sono Antonio Rubino, responsabile organizzazione del Pd, Carmelo Greco, Antonio Ferrante, e Salvatore Graziano. Nel mirino le scelte dei candidati. “Il gruppo dirigente siciliano – attacca Rubino – è totalmente estraneo alla modalità con la quale sono state fatte le liste. I candidati sono stati proposti da Renzi su indicazione di Faraone, dentro una logica di fidelizzazione e appartenenza, a partire dai collegi uninominali”.

Assicurano che la loro è una iniziativa trasversale, per aree e territori. Che non intendono lasciare il Pd, e «che – precisa Rubino – non è in atto uno scontro ideologico tra comunisti e renziani, anche perché molti di noi neanche erano nati al tempo del Pci, ma ci contrapponiamo a un modello padronale che non condividiamo e che sta facendo allontanare migliaia di elettorali delusi». «Noi resistiamo dentro al Pd», avvertono i «partigiani» per dare voce a chi ha perso l’entusiasmo leggendo i nomi dei candidati in Sicilia». Perché, insistono, «in questo momento la nostra gente è disorientata, molti circoli si pongono il problema se fare le assemblee e comunque senza i candidati o addirittura di valutare il disimpegno in questa campagna elettorale».

In poche ore sono sorti 105 comitati di «partigiani del Pd» in varie parti della Sicilia. «Un vero e proprio tsunami democratico che conferma la serietà della nostra battaglia politica», avverte Antonio Rubino. Chi si spinge più avanti è Rosario Crocetta, l’ex governatore tradito da Renzi. «O cambia il partito oppure cambiamo partito. Non c’è alternativa – dice – Dopo il 5 marzo ci aspettiamo una discussione franca che vada al di là delle correnti. Tutte, non solo l’area Orlando o Emiliano, sono state umiliate nella composizione delle liste, che sono quelle del capo e non certo del Pd».

Crocetta apprezza l’iniziativa dei «partigiani del Pd» e la scelta di Raciti di dimettersi da segretario. «E’ allucinante che Raciti si sia trovato sopra nelle liste Maria Elena Boschi – attacca l’ex governatore – Siamo davanti a un partito irriconoscibile, che non ha tenuto in nessuna considerazione gli organismi regionali nella composizione delle liste. Non era mai successo che ci si trovasse davanti liste non discusse con gli organismi del partito. Quello che è stato cancellato, non è solo il Pd ma l’idea stessa di partito – accusa Crocetta – che è fatto di organismi e strutture che devono essere consultate nella composizione delle liste».

L’ex governatore svela un retroscena a proposito delle elezioni regionali e che coinvolge Faraone e un suo fedelissimo, Alberto Firenze, indagato dalla Procura di Palermo per alcune intercettazioni mentre parla con l’imprenditore Ninì Bacchi, l’imprenditore noto come il «re delle scommesse» on line, arrestato assieme ad altre 30 persone in un blitz della polizia.

Bacchi si sarebbe rivolto a Firenze, ex commissario dell’Ente per il diritto allo studio a Palermo, per fare pressioni su alcuni parlamentari con l’obiettivo di inserire un emendamento nel mille proroghe che avvantaggiasse le sue attività. «Faraone mi disse che non avrebbe fatto nessun accordo con me, poiché il mio governo non aveva confermato l’incarico all’Ersu di Alberto Firenze», rivela Crocetta.