Cos’è il «modello Palermo», lo schema con cui Leoluca Orlando è riuscito a vincere le comunali, diventando sindaco per la quinta volta? È davvero la chiave per il rinnovamento in Sicilia? Chi sono i volti di quel «civismo politico» su cui punta il sindaco per conquistare la Regione?
Scorrendo nomi e curricula dei protagonisti del «modello Palermo» che tanto piace anche a gran parte dei dirigenti di Sinistra italiana e Mdp si scopre che di nuovo c’è ben poco. Non serve chissà quale indagine per svelare una verità che sta sotto gli occhi di tanti, basta mettere a posto uno dietro l’altro i tasselli per ricostruire il puzzle di uno scenario di pura facciata senza contenuti e privo di strategia. Ora che il Pd sta trattando per chiudere con Ap, è dal fronte della sinistra arrivano i malumori.

Dal «no, grazie» di Piero Grasso i partiti del centro sinistra si sono incartati. Manca una regia, manca ancora un progetto e manca soprattutto un candidato che stia bene ai partiti di questa fantomatica coalizione. Tra le pregiudiziali poste da Ap nella trattativa, ancora aperta, con i renziani, c’è la matrice che deve avere il candidato governatore: un uomo di centro. I nomi fatti da Casini, apprezzati da Alfano, sono quelli di Giovanni La Via, Dore Misuraca e Gianpiero D’Alia. Tre personaggi legati politicamente in passato a Totò Cuffaro, l’ex governatore rimpianto dai nostalgici. Nomi che non piacciono – così come non piacciono quelli di Davide Faraone e Giuseppe Lupo del Pd – alla sinistra, che spinge per una candidatura civica e ha lanciato il nome del rettore di Palermo Fabrizio Micari.

I dirigenti di Mdp e Si due giorni fa hanno chiesto un incontro immediato a Leoluca Orlando per capire se anche lui sia d’accordo con la strategia che sta portando avanti il Nazareno. Il sindaco però ha preso tempo, rimandando il confronto a dopo Ferragosto, una scelta che ha irrigidito diversi esponenti di Mdp e Si. Nella sinistra sta crescendo l’insofferenza e soprattutto la fronda di chi comincia a nutrire forti dubbi sulla leadership di Orlando, presente alla kermesse in piazza dei Santi Apostoli con Pisapia e Bersani, ma in questa fase in continuo contatto con Guerini e Delrio, i delegati del Pd per chiudere la trattativa con Alfano.
Il sospetto è che Orlando sia coinvolto in pieno nella trattativa e che alla fine la sinistra possa finire all’angolo: prendere o lasciare. Ecco perché, fanno sapere fonti della sinistra, il vertice post-ferragostano dovrà essere risolutivo nei rapporti col fautore del «modello Palermo». Anche perché questo modello tra l’altro include personaggi della prima e seconda Repubblica che hanno poco a che fare col principio della «discontinuità» che Bersani ripete come un mantra.
Con Orlando ci sono in prima fila il socialista Carlo Vizzini, ex potente ministro delle Poste, Totò Cardinale, ex ministro delle Telecomunicazioni che assurge al ruolo di «grande suggeritore» dopo aver mandato in parlamento la figlia Daniela, e l’ex democristiano Rino La Placa. Non solo. Il «modello Palermo», con liste civiche e senza simboli di partito, in realtà è stato soltanto un contenitore che ha mascherato la presenza di tanti politici di professione.
Alle regionali, invece, il «modello», nelle intenzioni di Orlando e del Pd, avrà la variante dei simboli. Ecco perché la sinistra, con Luca Casarini (Si) che non vuol sentir nemmeno parlare di sedersi a fianco di un alleato come Giuseppe Castiglione (Ap) indagato per lo scandalo del Cara di Mineo, scarta a priori che il candidato governatore della larga coalizione, sempre che si realizzi, sia un esponente di Ap, né tantomeno sia Gianpiero D’Alia (Centristi per l’Europa), che ha sostenuto fino a pochi mesi fa il governo Crocetta, salvo poi ritirare l’appoggio mantenendo un assessore «tecnico» nella giunta.

Nella sinistra comincia a farsi largo in alcuni dirigenti l’idea di staccarsi da Leoluca Orlando se quest’ultimo non sarà in grado di incidere sull’asse Pd-Ap. In questo scenario rimarrebbe il problema del nome da lanciare come candidato a governatore. Sembra escluso il nome dell’editore Ottavio Navarra, già fatto da Rifondazione comunista. E quindi bruciato.