Alleanze, fughe, inciuci. È l’altra partita che giocata nelle chiuse stanze dei partiti mentre era in corso la campagna elettorale. A urne ancora sigillate, il ragionamento di chi sta dietro le quinte, e muove i fili, è proiettato al post-voto da un pezzo. Chiunque vincerà la sfida in Sicilia è quasi scontato che non potrà contare su una maggioranza in Assemblea per via di una legge elettorale che non dà certezze. E allora gli sherpa hanno lavorato agli scenari.

VINCE MUSUMECI. I sondaggi lo hanno dato per vincente per quasi l’intera campagna elettorale, anche se quelli più recenti e non divulgati per obblighi di legge prefigurano altro. I rumors interni alla coalizione di centrodestra tratteggiano un fronte tutt’altro che unito a discapito del «patto dell’arancino» e di foto formato famiglia, pronto a implodere ai primi dissapori e a trasformarsi con l’ingresso di nuovi transfughi, allettati dalla tavola del vincitore.

Gianfranco Miccichè ha lavorato sotto traccia per settimane a un suo ritorno alla guida dell’Assemblea regionale; a Palazzo dei Normanni un gruppo di dirigenti e di funzionari vicini a Forza Italia ha lavorato per preparare il terreno, tra i maldipalcia del resto dei dipendenti. L’ex Publitalia è convinto di potercela fare, trovando la sponda in ambienti del centrosinistra; in giro ha fatto sapere che il posto sarà suo, ma non sarà così semplice. Per due motivi: i malumori interni a Forza Italia nei confronti del commissario che da capolista a Palermo ha provato a fare terra bruciata nei confronti di altri candidati con curricula pesanti ma costretti a rincorrere, e le ambizioni della destra nostalgica che vuole riprendere le fila del Palazzo come ai tempi di Guido Lo Porto e Nicola Cristaldi. Tant’è che alcuni fedelissimi di Musumeci non danno nulla per scontato. Anzi.

L’idea al limite è quella di trovare un accordo su un “moderato” per la guida dell’Assemblea, che faccia da collante per consentire al governatore una maggiore manovrabilità in aula. Nello Musumeci potrebbe contare sul sostegno di alcuni peones. Si guarda in casa di Sicilia futura, la creatura politica dell’ex ministro Totò Cardinale, vicino ai renziani ma pronto a virare di fronte all’eventuale flop elettorale di Fabrizio Micari e della coalizione di centrosinistra. Cardinale ha dovuto smentire ufficialmente quello che in molti ipotizzano: il voto disgiunto a favore proprio di Musumeci. Una mano a Musumeci potrebbe arrivare anche da pezzi di “centristi” e uomini di Ap. C’è chi suggerisce persino una sponda esterna da parte di alcune anime del Pd, ma questo appare uno scenario tutto da verificare sulla base dei nuovi equilibri che si apriranno nel partito di Matteo Renzi all’indomani del voto.

VINCE CANCELLERI. Il flirt con la sinistra è dato in ascesa, nonostante le frenate del 5 Stelle Giancarlo Cancelleri e di Claudio Fava. Entrambi escludono accordi, ma si ritrovano in una posizione comune: l’intesa si può cercare in aula su progetti di legge precisi, ovviamente se la sinistra dei Cento passi riuscirà, come pare, a superare lo sbarramento del 5 per cento e rientrare in Assemblea dopo dieci anni di assenza. L’idea di Cancelleri è quella di portare in Parlamento un pacchetto di leggi e trovare la convergenza, senza pregiudizi. Insomma, chi ci sta ci sta. Nessuna poltrona di sottogoverno in cambio, probabile invece una sorta di collaborazione su specifici temi, cari alla sinistra. Non è un flirt ancora, ma qualcosa potrebbe nascere tra la sinistra e i 5stelle.

La Sicilia come banco di prova per le nazionali. Fantapolitica? Non proprio. «Non si sa mai», ha detto sornione il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni mentre salutava Alessandro Di Battista, che era in testa a un gruppone di pentastellati in bici, a spasso nell’ultimo giorno di campagna elettorale. Un incrocio, quello tra una delegazione della sinistra e i 5stelle nelle strade del centro di Palermo, che suscita suggestioni. Fortuito? Chissà. Gli staff di entrambi i fronti, in fondo, sapevano. L’incrocio è avvenuto in via Maqueda, a pochi metri dal palco dove Beppe Grillo ha poi chiuso a fianco di Cancelleri. «C’è Bersani», avverte i suoi un Dibba sorridente, la delegazione di sinistra ferma il passo. Fratoianni dà una pacca sulla spalla a Di Battista, Cancelleri ferma la bici e stringe la mano a Bersani. Sorrisi e cordialità. Poi ognuno per la propria marcia. «Se son rose fioriranno», se la rideva un esponente di sinistra. Poco prima Bersani aveva usato parole concilianti. «I 5stelle interpretano un disagio e hanno dentro anche elementi di novità che però non vengono portati da nessuna parte. In questo movimento pigliatutto c’è dentro un germe di autoritarismo, ma – osserva – ci sono anche delle esigenze che bisogna sapere interpretare da sinistra». Un messaggio ai suoi, ma anche ai grillini che per ora mantengono il punto.

È complicato il 51 per cento in Ars? «Faremo delle proposte ma non spartiremo poltrone», il mantra di Cancelleri. Ma, nel Movimento 5 Stelle, quello di un appoggio esterno della sinistra è più che un’idea. Uniti dall’opposizione al Rosatellum, per entrambi i fronti la Sicilia rappresenta uno snodo cruciale. «Da qui – avverte Bersani – partono i primi cento passi da fare nel Paese». L’auspicio è che al loro fianco ci sia il presidente di palazzo Madama Piero Grasso, dopo l’addio al gruppo del Pd. «Io ho in testa una sinistra di governo, della legalità e del civismo. Una figura come Piero Grasso questo concetto lo interpreta alla grande», ammette Bersani.

Anche un pezzo di Pd potrebbe rivelarsi un compagno di viaggio per i pentastellati, ma in questo caso bisognerà capire come usciranno i dem dalle urne. In via Bentivegna sanno che i 5 Stelle da soli non potranno andare lontano. Gli ostacoli in Parlamento si nascondono dietro l’angolo. Lo sanno bene pure i grillini, che in cinque anni di legislatura si sono barcamenati nella palude parlamentare.

IL PD E LA SINISTRA. Gli ultimi sondaggi sono deprimenti. Fabrizio Micari non sarebbe riuscito a recuperare il distacco da Musumeci e Cancelleri; anzi, alcune analisi, top secret perché non si possono divulgare, lo danno addirittura dietro a Fava. Un pezzo dei dem dà la partita per la presidenza persa e sta lavorando per la lista in una battaglia all’ultimo sangue per la conquista di uno scranno.

Del resto la newsletter digitale di Renzi la dice lunga: «Vinca il miglior candidato e la migliore squadra». Che per lui, certo, ha il nome di Fabrizio Micari, ma sul quale il segretario del partito-perno del centrosinistra non vuole mettere la faccia, specificando come il cavallo su cui puntare sia stato scelto da Leoluca Orlando: «Fossi siciliano – scrive Renzi – voterei quello che ritengo il miglior candidato, Fabrizio Micari, indicato al centrosinistra dal sindaco Orlando sulla base del ‘modello Palermo’, un’alleanza che andasse oltre il Pd». Progetto miseramente fallito.

C’è una partita dentro la partita nei dem. Dalle urne, è la convinzione di molti, uscirà un partito diverso. Ancora una volta renziani ed ex Ds si stanno misurando: l’obiettivo su entrambi i fronti è quello di eleggere il maggior numero di deputati regionali. Poi i conti si faranno negli organismi di partito. Anche perché l’altro aspetto rilevante sarà il risultato della sinistra. Se Claudio Fava otterrà più consensi di Fabrizio Micari, per Bersani sarà una manna dal cielo nei rapporti di forza con Renzi per le politiche. Il fronte punta sull’effetto Piero Grasso e la voglia di un popolo della sinistra depresso di tornare a contare.

GLI INDIPENDENTISTI. Piccoli, ma agguerriti. Per molti in questa campagna elettorale i «Siciliani liberi» non andranno oltre l’1 per cento. Loro però ci credono. Tra gli outsider sono gli unici rimasti in corsa. Se il candidato Roberto La Rosa ha davvero poche chance, il movimento punta tutto sulla soglia del 5 per cento. Superarla significherebbe entrare in Parlamento e avviare anche in Sicilia una battaglia per l’autonomia. Partendo da un vantaggio palese rispetto a Veneto e Lombardia: qui lo statuto speciale esiste ma è stato saccheggiato e svilito dal dopoguerra a oggi.