Piero Grasso non sarà della partita. Il presidente del Senato, su cui c’è stato un pressing forsennato del Pd anche dopo il suo «no grazie» di un mese fa, ha chiuso definitivamente la porta. Non sarà lui il candidato del centrosinistra alle regionali in Sicilia. «I miei doveri istituzionali rispetto a quando ho espresso l’impossibilità di candidarmi sono, se possibile, ancor più stringenti in questo momento», chiarisce una volta e per tutte. Perché «negli ultimi giorni si sono avvertite fibrillazioni politiche nella maggioranza che sostiene il governo» e perché «i prossimi mesi saranno particolarmente delicati», poiché «la fase finale della legislatura sarà, temo, fortemente influenzata dall’avvicinarsi delle elezioni nella primavera del 2018». Amen.

UNA BOTTA PER CHI, nella comatosa coalizione, ci sperava sul serio. Persino Leoluca Orlando, che flirta con Sinistra italiana e Mdp, ci credeva ancora, ma la sua idea di esportare il «modello Palermo» su scala regionale è naufragato. Troppo ambiguo in un contesto caotico. Orlando aveva tentato di prendere in mano la coalizione – con il Prc che però l’ha mollato almeno in questa partita dopo essere rimasta fuori dalla giunta – affiancandosi due volponi della politica: gli ex ministri Carlo Vizzini (Psi), passato alla storia per la gestione delle Poste, e Totò Cardinale (Sicilia futura), che in quello stesso ruolo qualche anno dopo sarà ricordato come il “padre” dei call center. Insomma tre grandi vecchi che sbandierano la «discontinuità».

«SE QUESTO È IL NUOVO che avanza siamo messi proprio male», dice il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta. Che proprio poche ore dopo il secondo «no grazie» di Grasso ha rotto definitivamente gli indugi. Come 5 anni fa, era luglio, il governatore, come nel suo stile, comincia la sua corsa con un paio di scarpe da tennis, un megafono e uno zainetto sulle spalle. «Io mi candido, lo faccio per portare avanti le istanze di liberazione da ogni prepotenza che subisce da anni il popolo siciliano, contro gli intrighi della politica politicante che vuole affossare la prima esperienza popolare e progressista che la Sicilia ha avuto dal 1946», dice il governatore, convocando i cronisti nel suo quartier generale del Megafono, a Palermo. «Mi candido – insiste – perché il presidente della Regione non può essere scelto attraverso le congiure di palazzo degli uomini di sempre che hanno gestito il vero potere in Sicilia e per continuare a tenere aperte le porte ai cittadini». Il suo manifesto: «La Sicilia ai siciliani», sotto il logo del Megafono, il movimento che lanciò cinque anni fa.

UNA SCELTA NON CASUALE. «Il candidato non lo sceglie Roma e neppure Milano», chiosa. E al segretario del Pd siciliano, Fausto Raciti, che aveva sostenuto la necessità di creare prima la coalizione e il programma e poi scegliere il candidato, Crocetta dice: «Una coalizione c’è già ed è quella che sta sostenendo il governo». «Il paradosso politico è che per il Pd, ma anche per i centristi, il mio governo ha lavorato bene eppure poi si fa il gioco ’levati tu che mi ci metto io’ – attacca Crocetta – Chi non mi vuole lo fa per tanti motivi: chi per interessi personali, chi per motivazioni di corrente e chi per nostalgia del passato». La sua è una sfida. «Vogliono evitare che io sia un candidato solitario? I vari Davide Faraone e Giuseppe Lupo si facciano avanti. Facciamo le primarie. Ma le voglio vere e democratiche con regole certe».

E sul cosiddetto «modello Palermo» (liste senza simboli di partito a sostegno del candidato), Crocetta è netto: «Io non faccio finta di non volere i partiti per poi fare liste con i politici dentro prendendo in giro gli elettori; io i partiti li voglio e penso a una coalizione larga anche con la sinistra e i movimenti civici veri. Se poi qualcuno pensa di volere candidare un pupo voglio essere chiaro: io non sono un pupo, sono un candidato di garanzia».

UN GUANTO DI SFIDA che un pezzo del Pd, gli ex Ds in testa, è pronto a raccogliere. Si vedranno sabato pomeriggio ad Agrigento. «Sarà l’occasione per capire chi è davvero favorevole alle primarie, coinvolgendo liste e partiti dalla sinistra al centro, per individuare il candidato alla presidenza: per quel che mi riguarda, sono favorevole e possiamo lavorare fin da subito per organizzare le primarie il 10 settembre», dice Pippo Digiacomo, esponente di peso del Pd nel ragusano.

LA MOSSA DI CROCETTA spariglia le carte in casa dem. Raciti ha subito convocato la segreteria regionale, si riunirà sabato mattina. Da almeno un anno Davide Faraone, braccio destro di Renzi in Sicilia, è in campagna elettorale, anche se non lo dice. Mentre un nome che piace a Leoluca Orlando è quello di Giuseppe Lupo (area Franceschini), attuale vice presidente dell’Ars; voci anche su Antonello Cracolici, assessore regionale all’Agricoltura.

I centristi che hanno lasciato la giunta Crocetta (mantenendo un “tecnico”) dopo le dimissioni di Giovanni Pistorio che in un’intercettazione usava frasi omofobe contro il governatore, puntano su Gianpiero D’Alia e stanno cercando di convincere Raciti ad appoggiarlo. Non è chiaro invece il gioco di Ap, con Angelino Alfano che ha smentito una sua candidatura ma il cui nome continua a circolare sia in pezzi del Pd sia in Forza Italia, spaccata tra l’ex pupillo di Berlusconi e Nello Musumeci,ex Msi in corsa da tempo con Diventerà bellissima.