Nel caos che domina la marcia di avvicinamento alle elezioni regionali siciliane del 5 novembre – con i 5 Stelle già in campagna elettorale, Berlusconi deciso a mollare il candidato di destra-destra Musumeci in favore del più «civico» Armao e il centrosinistra ancora senza un nome in pista per la presidenza – c’è una sola certezza, oltre alla data del voto ufficializzata ieri: il Pd si tiene stretta l’alleanza con Alfano.
Che Renzi nel suo tentativo di evitare una debacle non potesse rinunciare ai voti che in Sicilia può raccogliere Ap era chiaro da settimane, ma ieri il ministro degli esteri ha trovato il modo di confermare l’abbraccio. Per esclusione: «A destra sembra emergere una prevalenza più dei veti che dei voti di Salvini e Meloni – ha detto Alfano al Meeting di Rimini – e se in Sicilia che è una classica terra di moderati comandano gli estremisti diventa tutto più complicato». Un modo di rappresentare la questione che sembra rendere inevitabile la scelta pro Pd, studiato per parare le critiche interne ad Ap, dove (soprattutto in Lombardia) resiste una corrente di nostalgici berlusconiani. Alfano e il Pd, così, condividono la necessità di bollare come estremisti quelli che non intendono seguirli. Renzi ha benedetto l’abbraccio ad Alfano e ha persino ripreso a parlare al telefono con il suo ex ministro degli interni. Mentre il responsabile enti locali del Pd Ricci fa mostra di stupirsi che «vi sia chi non riconosce la necessità di uno sforzo comune contro i populismi e una destra a evidente guida estremista».

Il messaggio è rivolto alla sinistra fuori dal Pd, ai bersaniani di Mdp che ieri con Roberto Speranza hanno bocciato in pieno la strategia dei democratici: «È evidente che chi fa di Alfano il perno di un nuovo progetto politico sta scegliendo di seppellire il centrosinistra». A sinistra si registra irritazione soprattutto nei confronti di Orlando, sindaco di Palermo alla guida di una maggioranza che comprende Mdp e Sinistra italiana, ma che sta facendo il regista dell’operazione neocentrista alla Regione. Proprio Orlando ieri mattina con una doppia intervista si era rivolto a Mdp-Sinistra italiana «supplicando» di replicare per la Regione il «modello Palermo», incentrato sulla prevalenza delle liste civiche. «Il modello Palermo non è masi stata una mediazione al ribasso», hanno risposto Mdp e Si in un documento comune, «la scelta del Pd di confermare il sodalizio politico con Alfano e Castiglione è una brutta notizia per i siciliani e rischia di ridurre Orlando al ruolo di comprimario. Non si ha il coraggio di rompere gli schemi che valgono forse per i sondaggi elettorali, ma sono l’ammissione della sconfitta della politica come passione civile di ideali e valori. Noi andremo avanti per proporre un’alternativa».
È l’annuncio di una nuova candidatura a sinistra. Ma insieme anche la certificazione che il prescelto di Leoluca Orlando, l’ex rettore di Palermo Fabrizio Micari, potrebbe finire in fuorigioco. Se la situazione cambia e Pd e Ap si ritrovano da soli nella corsa elettorale, è possibile che dovrà cambiare anche il candidato. Un nome possibile è quello di Nino Caleca, avvocato penalista con una fama di garantista e un passato remoto da dirigente del Pci (negli anni di Pio La Torre) e uno più recente da assessore all’agricoltura del governo Crocetta. È stato anche l’avvocato di Totò Cuffaro e potrebbe essere proposto da Alfano a Renzi come il più classico dei profili «civici», che a questo punto sembrano inevitabili. Per il momento il ministro degli esteri si porta avanti con il «programma», con un paio di proposte da incubo: «Zona franca per la Sicilia e candidatura a ospitare sull’isola le Olimpiadi»