Infine eccola, la stazione ferroviaria di Sicignano degli Alburni. In fondo a una gola, incastrata tra un costone roccioso e un torrente, circondata da una fitta vegetazione. Per trovarla bisogna avere un buon navigatore o essere amanti del trekking: i 78 chilometri della linea che da Sicignano, paesino che domina i monti Alburni nel salernitano, porta fino a Lagonegro, in Basilicata, sono diventati un pittoresco sentiero per escursionisti. La Sicignano-Lagonegro non è stata mai dismessa da Trenitalia, ma solo sospesa. Dell’ultima corsa, un convoglio straordinario tra Atena Lucana e Polla nel maggio del 1987, rimane una locomotiva abbandonata al capolinea. Un comitato di pendolari che si batte per la riapertura della linea ha deciso di restaurarla e così oggi la vettura, rimessa a nuovo, è venerata dai nostalgici del tempo in cui i treni ti portavano a destinazione senza fretta. Dopo quell’ultimo viaggio, la linea da Battipaglia a Lagonegro fu fermata per consentirne l’elettrificazione e mai più riattivata.

A Sicignano il treno oggi arriva, invece. E non è un fantasma. Sbuca da una galleria a binario unico che gli calza come un vestito stretto: due carrozze avanzano pigramente, quasi a passo d’uomo, come un convoglio andino nelle Ultime notizie dal sud di Luis Sepulveda. È quel che rimane della linea che porta a Potenza dopo la riapertura, l’unico motivo che possa dar senso all’esistenza di questa stazione. Vedendolo sbucare, non si può fare a meno di pensare a quanto accadde in un’altra galleria, pochi chilometri più avanti, il 3 marzo del 1944: una locomotiva, a vapore e non ancora diesel come quella dell’ultimo viaggio nella stazione di Polla, era partita poco dopo le 18 dalla stazione di Salerno, piena all’inverosimile di viaggiatori «clandestini» stremati dalla guerra che andavano nel potentino per scambiare sigarette e caffè americani con prodotti della terra. Nella galleria tra Balvano e Bella, 1.692 metri con una pendenza media del 12,8%, il treno prese a slittare per l’eccessivo carico e per l’umidità, e si bloccò. Il monossido di carbonio e l’anidride carbonica fecero il resto: si salvarono il fuochista e il frenatore del carro di coda, tutti gli altri morirono asfissiati. I cadaveri furono allineati lungo la banchina della stazione di Balvano, come anime in attesa del loro Caronte, e poi sepolte in quattro fosse comuni. Fu archiviata così, senza funerali e neppure una conta precisa delle vittime – poco più di 500, forse addirittura 600 – la più grande strage ferroviaria della storia italiana.

Il paese di Sicignano non è in questa gola. È arroccato su una montagna e da quaggiù non si vede. Per raggiungerlo bisogna risalire fino al bivio dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e proseguire. In tutto sono 8 chilometri di tornanti. Al binario c’è una anziana donna. È sola. Alla mia vista si spaventa e mi tocca tranquillizzarla. «Sa, qui non c’è mai nessuno». I rari viandanti arrivano sempre in coppia: chi deve prendere il treno e l’accompagnatore, e regola vuole che quest’ultimo gli faccia compagnia fino all’arrivo del convoglio. Non fa paura il degrado, ma la solitudine, l’assenza di vita e abitazioni nel raggio di diversi chilometri.
La signora è appena arrivata da Salerno e sta attendendo una persona che venga a recuperarla. È scesa solo lei a questa fermata e non c’è nessuno ad attendere il treno successivo, questa volta in direzione di Salerno, o meglio di Battipaglia dove il panorama sarà completamente diverso: lì la stazione è un cantiere in pieno fermento, quando i lavori saranno ultimati ci saranno negozi e sale d’aspetto circondate da vetrate.
La stazione di Sicignano è invece serrata da sbarre di ferro. Qualcuno ha sfondato le vetrate, così è più facile ammirare lo stato d’abbandono, o per meglio dire di decomposizione, in cui si trova l’interno. Al muro è ancora affisso un calendario del 2002. Resiste la vecchia insegna del bar, chiuso un paio d’anni fa per mancanza di clienti, e tanto basta per conferire al luogo un’atmosfera da anni ’50. Una tabella sostiene che «questo progetto è finanziato con i fondi dell’Unione europea». Quale progetto? Quali fondi? Se si trattasse di quella panchina nuova di zecca posizionata tra la stazione e la galleria, suonerebbe come una beffa.
Una bacheca ospita gli orari di arrivo e di partenza. Fino a qualche tempo fa, qui fermava l’Eurostar Taranto-Roma, che nel tratto lucano viaggiava a velocità ridotta, non più di 60 km/h e biglietto dimezzato come un qualsiasi trenino locale. Ora è stato sostituito da un servizio bus. Alle prime soppressioni le proteste dei viaggiatori, alla stazione di Potenza, si sprecarono, poi ha prevalso la rassegnazione.
Un tatzebao fa sapere che i bus sostitutivi non fermano più alla stazione, ma davanti alla trattoria «Il camionista», all’uscita dell’autostrada. Impossibile da raggiungere dalla stazione. Fino a qualche anno fa, gli autobus inviati a rimpiazzare il treno erano costretti alla sosta in tutte le stazioni abbandonate, come in una sorta di via crucis ferroviaria. E la discesa nella gola di Sicignano era di sicuro la più ardua. Ora che la linea per Potenza è stata riattivata, paradosso tra i paradossi, chi arriva qui con il treno non trova però alcun bus per proseguire oltre.

Da quel giorno di maggio del 1987 in cui la locomotiva fece il suo ultimo viaggio da Sicignano a Polla è accaduto di tutto, eccetto il fatto che la linea fosse rimessa in funzione. L’Anas ha speso 722 mila euro dei soldi destinati ai lavori della Salerno-Reggio Calabria per risistemare i binari e mettere in sicurezza alcune gallerie, 15 milioni stanziati da una legge del 2003 non sono stati utilizzati, a Polla hanno asfaltato i binari per permettere ai bus di passare senza scossoni e a Sala Consilina il sindaco è stato rinviato a giudizio per aver autorizzato l’allargamento di una strada comunale danneggiando i binari. Rocco della Corte fa parte del comitato per il ripristino della Sicignano-Lagonegro e accusa la «lobby dei bus privati» che farebbe da tappo al ritorno del treno. In effetti, qualcosa non gira per il verso giusto se da una parte Trenitalia taglia le corse dei servizi sostitutivi per l’esiguità di viaggiatori e, lungo la stessa linea, prosperano linee private che collegano paesi e cittadine fra loro e con il resto d’Italia. Dal bus terminal di Sala Consilina partono mezzi a due piani, confortevoli e accessoriati, per città grandi e medie del nord, persino per Bonn e Francoforte.
Il comitato ha riaperto, simbolicamente, la stazione di Polla. Gli attivisti non hanno solo restaurato la locomotiva dell’ultimo viaggio, ma hanno ripulito la sala d’aspetto e, autotassandosi, hanno aperto un infopoint dove forniscono mappe della cittadina e informazioni a viaggiatori e turisti. Hanno incontrato l’amministratore delegato di Trenitalia Mauro Moretti e gli hanno offerto di gestire, in comodato d’uso, le stazioni dismesse in cui fermano i bus sostitutivi. Il vero obiettivo, però, è di rivedere i treni sui binari. «La linea è integra, basterebbe un disboscamento e la pulizia dai rifiuti che purtroppo negli anni si sono accumulati», dice Della Corte, e «il Genio ferrovieri potrebbe rimetterla in sesto con una spesa contenuta». Il comitato ha quantificato costi non superiori ai 100 milioni di euro, che potrebbero arrivare da fondi europei, governo e regioni. Quelle interessate sono due, la Campania e la Basilicata. Quest’ultima potrebbe accollarsi i costi di gestione della tratta, vuoi perché si tratta di una regione «virtuosa» – a differenza della prima – e in quanto tale in rapporti migliori con Trenitalia, vuoi perché in questo modo risarcirebbe lo «scippo» del tribunale campano di Sala Consilina, soppresso dal governo e accorpato a quello lucano di Lagonegro dallo scorso 14 settembre.
Se il treno riprendesse ad attraversare le gole degli Alburni e le pianure del Vallo di Diano, i più anziani farebbero un tuffo nel passato. La prima corsa fra Sicignano e Sala Consilina porta la data del 1886. Nel 1903, quando l’autostrada non esisteva ancora, le tre corse giornaliere impiegavano tre ore ad andare da un capo all’altro della tratta. Oggi il numero di corse è invariato, e grazie alla Salerno-Reggio Calabria si arriva a destinazione in un’ora e quaranta, cantieri e code permettendo. Ma risalire il canyon dalla stazione di Sicignano alla fermata del bus sostitutivo è impresa da pionieri del vecchio west. Allora l’autobus va preso a Battipaglia, e il viaggio a sud di Eboli dura non meno di due ore e mezza. Più o meno come un secolo fa.