Marcello Buiatti ora non c’è più e le tante nostre vite di cui ha fatto parte negli anni restano orfane. Voglio allora ricordarlo per quanti di noi hanno condiviso pezzi di strada con lui e incuriosire chi non l’ha mai incontrato e non lo potrà più incontrare di persona.

BIOLOGO GENETISTA evoluzionista, per lui l’amore per la ricerca non era che la forma più concreta che assumeva il suo amore per la vita. Tutta la vita che brulica nel mondo, anzi tutte le vite colte nel loro «benevolo disordine», come scriveva, così differenziate, imprevedibili, resilienti, e ciascuna composta di altre. Uno «stato vivente della materia» (dal titolo del suo libro del 2004, antesignano di una nuova biologia), incomprimibile in omologazioni, irriducibile ai suoi componenti additivi. E in cui ogni singolo essere in realtà non è tale, preso com’è sempre in relazioni reciproche con altri. Poco conosciamo il ruolo del contesto, dei microambienti, dei nostri coabitanti, delle cooperazioni tra specie diverse e lontane tra loro, diceva: le vite sono «multiversi» (siamo «vivi perché diversi», suo leitmotiv) e sono, materialmente, il prodotto di ciò che fanno al loro mondo.

E AVEVA RAGIONE. Lo si sta capendo meglio ora tra gli studi rivoluzionari sulle reti nella vita vegetale, quelle sui mondi batterici dei simbionti nei nostri corpi, sull’ecologia evoluzionista in trasformazione, mentre verifichiamo oggi sulla nostra pelle le nostre responsabilità per le fratture operate sulle reti vitali degli ecosistemi, mentre cambia soprattutto nelle ultime generazioni il modo stesso di sentirsi parte nel mondo vivente, accomunati a molte specie a rischio.

Ma lui lo diceva a partire dagli anni ’70 -’80 del secolo scorso, quando ancora tutto ciò era ardimentoso. Di fronte a una genetica molecolare riduzionista e al selezionismo allora egemoni, metteva a germogliare in Italia l’ambientalismo scientifico, in tensione tra ragioni della salute e quelle del lavoro (presiedeva l’Associazione Ambiente e Lavoro, fondava il Comitato scientifico di Legambiente). Si sarebbe poi attirato inimicizie sulle questioni delle sementi ingegnerizzate, con la sua pacata e ferma battaglia contro i brevetti (così profondamente anti-etici nella ricerca) o sulla responsabilità delle multinazionali nel degrado degli ambienti e con la critica dell’omologazione delle nostre vite alla sovranità della finanza virtuale.

Era però in buona compagnia. Dei grandi biologi marxisti anglosassoni gli erano stati maestri nella sua formazione giovanile in Inghilterra, aveva lavorato nella Cuba rivoluzionaria, a ciò era poi seguito lo scambio con «i compagni» di Science for the People negli anni ’90.

FISICI ED EPISTEMOLOGI nuovi erano (eravamo) con lui in una consonanza profonda in Italia. Come il suo grande amico Marcello Cini con cui ha condiviso battaglie scientifiche, culturali, ambientaliste e politiche, da ultimo quella sui beni comuni, o come, proprio negli ultimi anni, il fisico dell’École Normale di Parigi, Giuseppe Longo, con cui confrontava simmetrie e caso in biologia e in fisica, secondo quella curiosità del nuovo che sempre, anche in tarda età, aggiunge vita alla vita.

Così Buiatti, metteva insieme il suo entusiasmo curioso nel battere piste, oggi diventate mainstream, la sua intensa passione per le relazioni umane, il suo antifascismo di lunga data. Che partiva da un’infanzia di bimbo ebreo in fuga, passava per la militanza marxista nelle varie reincarnazioni della sinistra italiana, la direzione dell’Anpi toscano, il «Manifesto degli scienziati antirazzisti» scritto a più mani nel 2008, fino al suo costante testimoniare nelle scuole il Giorno della memoria, sempre con l’idea che al vertice dell’insegnamento stanno le scuole elementari.

Il genetista eterodosso Buiatti, l’uomo gentile, sorridente e ardente di passione per la vita, il compagno antifascista e l’ambientalista, maestro e amico, che resta dentro a chi con lui ha vissuto imprese grandi e piccole, l’ha attraversata bene questa sola vita che ci è data. L’esempio suo di stile conoscitivo, politico e umano si proietta ora nel futuro. Uno stile di coerenza ed eleganza, ormai direi anche «filosofico» che ci può aiutare a orientarci in un difficile presente, a nostra volta raccogliendo il suo lascito per i più giovani.