Nella Giornata internazionale contro l’omofobia non sono mancate le note stonate in una ricorrenza dove si festeggia la derubricazione dell’omosessualità come malattia mentale decisa nel 1990 dall’Oms. Quindi non si tratta di un evento che celebra la tristezza, il vittimismo, fatti luttuosi, tutt’altro. E’ vero che per molti anni, oltre tre decenni, le persone omosessuali italiane non hanno avuto nulla da festeggiare, visto che il nostro paese era l’unico fondatore dell’Europa a non essere dotato di una legge di riconoscimento giuridico dei loro amori. Ci hanno persino preceduto stati come la Croazia e Malta, non conosciuti con una grande storia di diritti civili.
Per cui, questo 17 maggio quest’anno è stato sicuramente differente: un primo passo verso l’uguaglianza è stato compiuto: le unioni civili sono una realtà. Ora mancano il matrimonio egualitario e la tutela dei bambini delle famiglie arcobaleno. Ci arriveremo, non demordiamo di certo. Questo è il senso vero della lotta contro ogni forma di omofobia e trans fobia, essendo consapevoli che i passi indietro sono possibili, che nulla è mai dato per acquisito. E a rammentarcelo ci ha pensato proprio il cardinale Angelo Bagnasco che non ha trovato di meglio che scagliarsi contro la legge sulle unioni civili lanciando i soliti anatemi, prefigurando catastrofi antropologiche, agitando la questione, certo delicata e divisiva, dell’utero in affitto. La solita gerarchia cattolica italiana, si potrebbe chiosare, facendo spallucce e andando oltre. Sì è vero, i vescovi italiani non si danno pace, non tanto rispetto al contenuto della legge, cui nulla è necessario aggiungere rispetto a diverse opinioni espresse negli ultimi mesi da parte di voci fuori dal coro del conformismo ecclesiale. Le stesse che avevano chiesto di non organizzare l’ennesimo raduno para fascista del Family day, che sapientemente mischia bassi istinti politici della peggiore destra, con interpretazioni fantasiose delle sacre scritture.

Si sbaglierebbe a tacciare tutte quelle persone accorse al Circo Massimo come ingenui esaltati fuori tempo. I reazionari di oggi sono ben organizzati, consapevoli, possono contare su molti appoggi. Sicuramente della bonomia di una gerarchia cattolica, che continua a vestire la corazza della dottrina incrollabile. L’omofobia non discrimina, è una patologia che colpisce atei e credenti, cattolici e appartenenti ad altre confessioni, trasversalmente si adagia sulle famiglie politiche, si insinua a volte persino a sinistra. Non sentirsi vittime, quindi, è un imperativo morale, perché è la nostra soggettività sociale e culturale a mandare per i pazzi cardinali e senatori. Per questo il 17 maggio, è coerente con la stagione dei Pride, con quel mese, che presto arriverà, che tinge di Rainbow il mondo (è la più grande manifestazione politica del pianeta, che coinvolge oltre 200 milioni di persone in ogni continente). E’ la libertà che dilaga, che appunto fa in modo che oggi possiamo parlare di omofobia nelle scuole, per aiutare ragazze e ragazzi a non esser soli, a non dover subire le angherie dei loro pari. E’ quella democrazia, così fortemente trasformata e amica delle intimità, ancora troppe volte silenziose, che accompagna il nostro agire direttamente (ben altra cosa della populismo becero) dentro le periferie delle fragilità e delle opportunità. Noi ci siamo, in verità ci siamo sempre state e stati, solamente che oggi la nostra presenza è necessariamente impositiva, insistente, perché dopo secoli di buio, da quando la luce ha trovato uno spiraglio ha invaso dappertutto.

Dentro le mura leonine, non abituate al bagliore caloroso, che secondo il Vangelo emana direttamente da Dio, Bagnasco lo scambia per un effetto sovra naturale non benefico. Certo moltissimo c’è ancora da fare e, una buona legge di contrasto all’omofobia sarebbe assolutamente necessaria. In Senato giace su un binario morto il testo approvato dalla Camera, che non piace quasi a nessuno, che se confermato indebolirebbe l’intero impianto della Mancino. Non sembra alla portata una discussione positiva sulla materia, forse bisognerà attendere un’altra legislatura. Ma ci arriveremo, perché noi lo vogliamo.