Dopo gli omicidi del fotogiornalista Rubén Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, della studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e di altre due donne che si trovavano con loro, Nicole Simon e Alejandra, avvenuti a Città del Messico, venerdì 31 luglio scorso, alcuni cittadini italiani e messicani – che condividono la preoccupazione per la situazione dei diritti umani in Messico – hanno promosso un appello, #MéxicoNosUrge, pubblicato oggi sul manifesto online e sulla pagina www.facebook.com/mexiconosurge.

“Gli omicidi – scrivono – ci impongono di non rimanere in silenzio: dinanzi alla condizione che vive chi vuole denunciare la situazione che subiscono milioni di persone in un Paese che l’Italia e l’Unione Europea riconoscono soltanto come importante socio commerciale, rimanere in silenzio sarebbe una forma di complicità”.

Tra i primi firmatari ci sono Dario Fo (attore, regista, scrittore. Premio Nobel per la letteratura), Paco Ignacio Taibo II (scrittore), Raúl Vera López (vescovo di Saltillo, nello Stato di Coahuila, in Messico), Roberto Saviano, Don Luigi Ciotti (presidente di Libera), il collettivo di scrittori Wu Ming, Nando Dalla Chiesa (docente universitario, scrittore e politico) e Tonio dell’Olio (responsabile del settore internazionale di Libera).

1bbe28a
La vignetta di Biani a sostegno di #MéxicoNosUrge

L’appello ricorda come Rubén Espinosa sia solo l’ultimo giornalista ucciso in Messico in un massacro che sembra non avere fine, e che conta oltre cento vittime dal 2000 ad oggi.

Nel solo stato del Veracruz, quello dove Rubén lavorava raccontando gli abusi del governo statale e le violente repressioni contro gli oppositori politici, sono ben 14 i giornalisti uccisi durante il governo di Javier Duarte de Ochoa, soprannominato anche il mataperiodistas, l’ammazza giornalisti.

“Rubén Espinosa e Nadia Vera erano fuggiti dallo stato del Veracruz proprio per le minacce ricevute da funzionari del governo di Javier Duarte, indicato mesi fa come responsabile di qualsiasi gesto di aggressione nei loro confronti. Non è stato sufficiente fuggire a Città del Messico, considerata finora un porto sicuro in cui ripararsi dalle aggressioni contro la libertà di stampa. Il messaggio è chiaro: non si è sicuri da nessuna parte. Tutti i giornalisti critici devono avere paura perché possono essere raggiunti nelle loro case, torturati e ammazzati”.

I promotori segnalano come il Messico e l’Unione Europea siano vincolati da un Trattato di libero commercio (TLCUEM) che si basa su una clausola democratica, e per questo invitano i Parlamenti – tanto quelli nazionali che quello europeo – a non restare in silenzio di fronte a questa situazione.

L’articolo numero uno dell’accordo commerciale del resto è chiaro: “Fondamento dell’accordo. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo.”

Eppure, in Messico la libertà di stampa “viene violentata quotidianamente” segnala l’appello, e “fare il giornalista è una delle professioni più a rischio”, come mostrano “i dati delle più importanti organizzazioni di difesa dei giornalisti e della libertà di stampa (come Article19 o RSF)” che “indicano chiaramente come la maggior parte delle minacce, aggressioni, intimidazioni, sparizioni e uccisioni di giornalisti, fotografi e comunicatori si debbano imputare alle istituzioni dello Stato”.

“Tutto questo – denuncia l’appello – accade nel silenzio della cosiddetta ‘comunità internazionale’ e l’Unione Europea di fatto si disinteressa dei crimini dello stato messicano, continuando a mantenere relazioni commerciali con uno Stato che viola costantemente i diritti umani”. I dati che vengono proposti sono sconvolgenti: tra il 2007 e il 2014, in Messico ci sono stati più di 164mila omicidi di civili. Negli stessi anni in Afghanistan e in Iraq si sono contate circa 104mila vittime. Il numero di vittime di sparizione forzata dal 2006 ad oggi, basandosi su dati conservativi forniti dal governo messicano, supera le 30mila persone. È indefinito invece il numero delle persone sfollate forzatamente all’interno del Paese, ma molte organizzazioni di difesa dei diritti umani parlano di più di due milioni e mezzo di persone.

L’attenzione dell’opinione pubblica, però, si accende e si spegne ad intermittenza. Ha avuto eco anche in Italia la vicenda della sparizione forzata dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, avvenuta la notte del 26 settembre del 2014 nella città di Iguala, Stato del Guerrero, in cui sono coinvolti la polizia municipale di Iguala ed elementi dell’esercito messicano: da dieci mesi i 43 giovani studenti sono vittime di sparizione forzata di persone. Ma il loro non è un caso isolato: il 30 giugno 2014 l’esercito messicano, con un ordine scritto dall’Alto Comando Militare, fucilava 22 ragazzi in un’esecuzione extragiudiziale, una delle tante esecuzioni extragiudiziali portate a termine dall’esercito che ha l’ordine di “abbattere” civili considerati delinquenti senza alcun diritto ad avere un processo, come già riportato a inizio luglio 2015 dai quotidiani il manifesto e la Repubblica.

“L’ONU ha recentemente spiegato come in Messico la tortura sia un metodo utilizzato in maniera sistematica negli interrogatori da tutte le forze di sicurezza” spiega l’appello. Decine di migliaia di sparizioni forzate, violenza sistematica contro chi vuole difendere e promuovere i diritti umani, contro attivisti dei movimenti sociali e contro i giornalisti e fotografi che documentano la condizione di violenza strutturale sono “forme di ‘politica attiva’ scelte dai governi di Felipe Calderón, prima, e di Enrique Peña Nieto (che nel 2006 era governatore del Estado de México durante i fatti di Atenco), ora”.

Non dimenticano, i promotori dell’appello, che “tra gli attivisti e giornalisti minacciati e perseguitati ci sono anche cittadini italiani ed europei; tra le vittime ci sono anche cittadini italiani ed europei (come il finlandese Jyri Antero Jaakkola, assassinato dai paramilitari nello stato del Oaxaca nel 2010)”.

Ed è per questo, spiegano, che “#MexicoNosUrge e non possiamo rimanere in silenzio”. Perciò, aggiungono, “chiediamo che il Parlamento Europeo esprima la sua preoccupazione rispetto alla grave crisi dei diritti umani che vive il Messico, in particolare per le costanti aggressioni ai giornalisti e difensori dei diritti umani.

Chiediamo all’Italia e all’Unione Europea che si sospendano tutte le relazioni (politiche e commerciali) con il Messico fino a quando non si farà luce sui gravi casi di omicidio, violenza e sparizione forzata di persone. I paesi dell’Unione Europea devono applicare l’embargo agli investimenti in Messico e chiudere le loro Ambasciate, così come si è fatto nel caso di altri Paesi che non osservano l’obbligo del rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita dei propri cittadini”.

Per aderire scrivete a mexiconosurge2015@gmail.com – Seguiteci su www.facebook.com/mexiconosurge
* In Messico in questi giorni molti fotoreporter e giornalisti stanno lavorando con lo pseudonimo Rubén Espinosa, per sottolineare come la sua uccisione non può silenziare il suo lavoro e le sue idee.