Il PASOLINI di Abel Ferrara, regista onirico e visionario a dispetto del suo interesse per le marginalità e la trasgressione, tratteggia le ultime ore di vita del poeta in una commistione, non sempre riuscita, di piani intersecantesi che dovrebbero essere, per ragione veduta, mantenuti paralleli. E’ cronachistico nella descrizione della quotidianità di Pier Paolo ma dà pure vita,visivamente, a lavori incompiuti come PETROLIO e PORNO-TEO-KOLOSSAL per alcuni versi disorientando la continuità del racconto.

Quella che a tutta prima sembra una calma piatta è invece la forza del film. L’intervista rilasciata a Furio Colombo, la serenità del convivio con la madre Susanna,con i cugini, con Laura Betti, la caccia notturna all’Esedra di Roma all’inseguimento dei suoi demoni, i momenti di serenità da POMMIDORO insieme a Ninetto. Le parti più apparentemente gioiose(vogliamo riferirci all’entrata a Sodoma e al rito della fertilità), diventano le più incomprensibili, soprattutto ad un pubblico che non abbia velleità filologiche e che voglia vedere, in PASOLINI, più semplicemente una chiave interpretativa del grande intellettuale. Il party di PETROLIO è un’occasione mancata, assolutamente, non supportato da chiose interpretative che aiutino lo spettatore a decodificare un contesto formalmente attiguo alla quotidianità del protagonista -quella professionale- ma da quella completamente avulsa.

Nell’intervista che segue si è detto che il film non ha messaggi. Eppure uno ci sembra di averne colto: “siamo tutti in pericolo”. L’assassinio di Pier Paolo Pasolini che sembrava un punto d’arrivo o, meglio, una chiusa parentesi nella speranza che le sue profezie fossero fallaci diventa un punto di partenza. Il 17enne che a Torpignattara uccide a mani nude un pakistano indifeso, colpevole di aver leso la sua onorabilità con uno sputo, e che viene omaggiato dal quartiere con una fiaccolata di solidarietà(all’assassino non alla vittima), vuol dire che viviamo già all’inferno, senza essercene mai accorti compiutamente e la profezia è diventata realtà:” Siamo tutto, assassini e brava gente”. Pasolini è presago dell’inferno, e questo già accadeva quarant’anni fa.

Il cast è quello delle grandi occasioni. Willem Dafoe è impressionante per l’adesione fisica allo scrittore e per alcune movenze; Adriana Asti, che impersona la madre Susanna, è superba; il cammeo di Siciliano nelle vesti di Furio Colombo rasenta la perfezione; Ninetto Davoli, inopinatamente nei panni di Eduardo De Filippo, ci ha fatto venire nostalgia per l’ilarità e la leggerezza che ricordano COSA SONO LE NUVOLE e UCCELLACCI E UCCELLINI; Giada Colagrande, misurata e puntuale, assai convincente nel ruolo della cugina Graziella. Ma Valerio Mastrandrea nelle parti del cugino Nico che…c’azzecca? Nico Naldini -struttura fisica a parte- è un uomo dai modi gentili, dalla voce fragile e caratterizzata, lontano dalla virilità spontanea del suo interprete; Scamarcio, nel ruolo di Ninetto Davoli, assolutamente inespressivo(non ce ne voglia, possiamo sbagliare); Maria De Medeiros(splendida Anaȉs Nin in HENRY & JUNE) nei panni della Betti assolutamente fuori ruolo (abbiamo frequentato per anni Laura Betti, non era né sopra le righe né caricaturale). Perché l’impasse del film sta proprio nella dicotomia: mimesis o poiesis? Riproduzione della realtà o creazione dal nulla di un’opera di poesia? Questo l’assillo. Ma il film è ben scritto da Maurizio Braucci (scrittore, co-sceneggiatore del GOMORRA cinematografico) con una -fortunatamente unica- banalizzazione del dialogo tra Pier Paolo e Pelosi alla trattoria BIONDO TEVERE.

PASOLINI si propone come un atto d’amore a quello che il regista considera un suo maestro. La complessità del materiale trattato, lo sforzo corale di un cast cementato da curiosità e rispetto verso lo scrittore e consapevole di far parte di un esperimento straordinario, il confronto di Abel Ferrara con il suo alter-ego nella discesa agli inferi,solidale con il suo compagno di strada e accomunato dalla persecuzione che segue sempre un maudit, fanno del film un film appassionato, compartecipe, personalissimo che, seppure registra a tratti cadute indotte dalla difficile amalgama di testimoni del tempo e non, merita altre letture che fughino o confermino le discrasie rilevate ma che continui a bearci nella descrizione di un tempo feroce e primitivo dove imparammo a resistere.

Abbiamo avuto l’occasione di rivolgere qualche domanda di approfondimento a Willem Dafoe.

Qual’è stato il tuo primo approccio a Pasolini e alla sua opera?

In assoluto il primo approccio con Pasolini fu la visione de IL VANGELO SECONDO MATTEO, consigliatomi da Scorsese quando ci accingevamo a girare L’ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO. Nasce da lì il mio interesse per lo scrittore che diventerà ancor più concreto negli anni successivi e comunque prima di aver avuto l’occasione di impersonarlo.

Come ti sei preparato per il ruolo, quanto tempo hai impiegato?

Quantificare il tempo è davvero difficile. Se pensi che avevo 33 anni quando interpretai il film di Scorsese, e che da allora ho letto i suoi libri, i suoi saggi , recentemente le sue poesie, direi che ho impiegato anni. Per il film mi ha aiutato moltissimo Ninetto, parlare con i testimoni di quella stagione.

Scendere nell’inferno pasoliniano ti ha aiutato ad avere più coraggio? Voglio dire, come ha lavorato dentro di te immedesimarti nel personaggio?

Non ci avevo mai pensato prima ma sì, tutto questo ha rafforzato in me l’idea che ciascuno di noi dovrebbe lottare per le proprie idee. Entrare nel personaggio ha generato una specie di transfert -e anche questo non ti sembri eccessivo,totalizzante, più di quanto non lo sia stato nella realtà- , entrare nel personaggio, nell’uomo, nello scrittore è stato per me certamente un punto di arrivo e alla fine ho avvertito sulla pelle il suo coraggio.

Quanto pensi arricchisca la tua carriera ‘essere Pasolini’?

Non mi va di parlare in termini di carriera, spero tra l’altro che sia ancora lunga. Posso senz’altro dirti che questa esperienza mi ha arricchito come uomo, arricchimento che non è casuale, episodico, ma fa da coronamento ad una sorta di work in progress, camminando negli anni ‘accanto’ a Pasolini.

Ferrara ha dichiarato che non era interessato a scoprire da chi è stato ucciso Pasolini ma,alla fine, sembra aver abbracciato la versione ufficiale. Saprai che in Italia si è ancora alla ricerca della verità, questa storia non è ancora stata scritta del tutto. Ti sei confrontato con Ferrara e Braucci prima di girare?

Non sono d’accordo con te sul fatto che Ferrara abbia sposato la versione ufficiale. Il lavoro sullo script è stato un lavoro di gruppo, con il regista e Maurizio Braucci appunto. Diciamo che quando Ferrara asserisce che non gli importa nulla di chi ha ucciso Pasolini non intende dire che è estraneo alle responsabilità di chi ne ha avute, vuol dire solo che non è stato suo compito indagare. E la scena dell’omicidio diventa simbolica. Vediamo giovani uomini che trucidano Pier Paolo. Questo è aderente alla verità dei fatti ma vuol simboleggiare anche il potere che fagocita corpi ad esso estranei. Sono altri,magari tu, che debbono indagare e darci una verità differente da quella data per certa,sempre che esista.

Quindi il tuo contributo non è stato solo quello di una naturale,a tratti impressionante,rassomiglianza?

Ne parlavamo prima. C’è stato,come ti dicevo,un lavoro di gruppo, e un grosso lavoro di avvicinamento alle problematiche pasoliniane. Dicono, e tu me lo confermi, che c’è stata una buona adesione alla fisicità dello scrittore. Questo, a parte farmi piacere, ha sicuramente aiutato.

PPP denuncia i rapporti tra Potere, il potere politico e gli intellettuali, dal momento che sono gli intellettuali che denunciano l’oppressione del Potere nei confronti del Popolo. Esiste una figura simile negli Stati Uniti?

Non con queste caratteristiche. E’ vero,è molto diverso il contesto. Per il Vietnam si mobilitarono tutti, attori,studenti,professori. Ma un intellettuale così…

…forse vuoi dire ‘organico’?

…ecco,organico,un intellettuale a tutto tondo,coinvolto,sempre in prima linea.

Mi vien fatto di pensare a Chomsky.

Sì,certo,ma è diverso. Chomsky è uno molto ascoltato, dice cose taglienti, ma è sempre molto rispettato,è un docente,nessuno lo tocca, Pasolini è perseguitato dalla giustizia spesso,o sempre,assolto, è perseguitato dalla cultura imperante per la sua omosessualità,viene picchiato per le sue idee, paga, per farla breve,sempre in prima persona. Direi che è una figura unica.

Forse solo un film-maker come Ferrara, un border-line per molti versi, uno che ha avuto un appeal speciale con la disobbedienza, poteva interessarsi a un personaggio del genere e fare questo film. Willem Dafoe, invece,chi è?

Sono d’accordo su Ferrara, per me il discorso è un po’ diverso. In molti miei film ho interpretato personaggi al limite. Per calarsi nei panni di un violento, di una persona che vive ai limiti, devi essere per forza un po’ quel personaggio altrimenti non riusciresti. E,allo stesso tempo,essere un po’ quel personaggio non significa che lo sei 24 ore su 24. Un attore che voglia davvero immedesimarsi in una parte che gli è stata proposta deve sentire quel personaggio altrimenti non lo interpreta, non lo fa. E interpretarlo vuol dire far confluire in esso non solo le sue capacità mimetiche, gli insegnamenti della scuola da dove proviene, se ha seguito dei corsi di recitazione, gli insegnamenti dei colleghi più famosi ed esperti, ma anche le sue esperienze di vita. Così, per risponderti, ti do una non-risposta (e tuttavia ti dico che solo apparentemente è tale): io sono tutti e nessuno.

Qual’è l’insegnamento che ricevi da questa full-immersion e,secondo te, qual’è il messaggio del film,se ne ha uno?

Non credo che il film voglia dare un messaggio. E’ fiction,non è un documentario. Non dimostra una tesi,già lo abbiamo detto. Forse l’insegnamento è un arricchimento. Hai studiato,lungo gli anni, e nei limiti del possibile, l’opera di un intellettuale, ne sei rimasto affascinato. Poi un giorno un amico (Abel Ferrara,ndr) ti propone di impersonarlo. Provo orgoglio.

Durante la lavorazione de I CANCELLI DEL CIELO di Cimino all’improvviso scoppi a ridere e lui ti caccia dal set. Vi siete spiegati dopo?

Non ricordo più che cosa accadde esattamente. Mi pare che si trattasse di una battuta, di una barzelletta. Ma la verità è che tra ritardi,lungaggini della lavorazione, puntigliosità di Cimino non se ne poteva più e quella risata era una risata nervosa, liberatoria. Sì,ci siamo dati la mano ma ci siamo persi di vista.

E invece parlasti con Sergio Leone dopo che dichiarò che la tua faccia nel L’ULTIMA TENTAZIONE ricordava,più che quella del Cristo,quella di un gangster?

No, non accadde. Ma non accadde nulla in quel frangente, rimasi solo deluso.

La tua interpretazione in PLATOON è stata per me una tra le migliori. Hai trovato il tuo ruolo migliore?

Grazie per il complimento intanto. La risposta è no, almeno fino adesso. Ho amato molti dei personaggi interpretati e non mi sono mai posto la domanda.

Siamo alla chiusa. Quanto tempo trascorri a Roma solitamente?

Difficile dire,tutto dipende dal lavoro. Posso dirti sicuramente due mesi l’anno,ma possono essere anche di più. Dipende tutto dal lavoro.

Quali differenze rilevi nel vivere qui e negli Stati Uniti?

Moltissime,enormi. New York è il capitalismo eppure ha una sua strana umanità,una sua anima. Certo,anche l’Italia è capitalismo ma qui ci sono dimensioni più ‘easy’. Difficile spiegarti questo punto di vista. Vorrei dire: dimensioni più umane ma poi, di conseguenza, è come se dicessi che a New York è tutto disumano e non è così. Diciamo che a Roma vivo situazioni più easy going.

Ti senti più europeo o più americano?

Beh, ti do una risposta che può sembrarti scema: io sono un cittadino del mondo. Se non ti basta posso dirti che in entrambi le città io mi sento a casa. Questo probabilmente vuol dire che io americano mi sono ambientato magnificamente, sono anche italiano. O no?

testo e intervista di Aldo Colonna

BOX su Willem Dafoe

Dopo aver seguito corsi di recitazione all’Università del Wisconsin, nel ’72 entra in un gruppo teatrale d’avanguardia chiamato Theatre X.

Nel ’77 si trasferisce a New York dove fonda la compagnia teatrale Wooster Group.

Dopo una breve apparizione ne “I cancelli del cielo” di Cimino, tagliata poi in fase di montaggio, “Vivere e morire a Los Angeles” di Friedkin è il suo primo film importante (1984).

Due anni dopo la consacrazione in “Platoon” di Oliver Stone che gli frutterà una nomination all’Oscar e definirà i contorni di una recitazione scarna ed essenziale.

Seguiranno, fra i molti altri, il controverso “L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese, “Mississipi Burning” di Alan Parker, “Cuore selvaggio” di David Lynch, l’inconsistente “Body of evidence” con Madonna.

Nel ’96 “Il paziente inglese” di Anthony Minghella, Oscar per il miglior film, accresce la sua notorietà.

Nel 2005 sposa Giada Colagrande, attrice e film-maker italiana(che compare in “Pasolini” nel ruolo di Graziella Chiercossi).

Lars Von Trier lo vuole per il suo “Antichrist” e,quest’anno, in “Nymphomaniac”.