Marino Ruzzenenti, storico per formazione, sindacalista, ricercatore, a settantadue anni è anche uno dei volti storici degli ambientalisti bresciani. Vent’anni fa con la pubblicazione del suo libro Un secolo di cloro e … PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia (Jaca Book) contribuì a scoperchiare il calderone del grande sito industriale inquinato nel centro della città. Il suo ultimo volume per lo stesso editore è Primavera ecologica mon amour. Industria e ambiente cinquant’anni dopo (scritto con Pier Paolo Poggio, lo ha recensito sul manifesto Paolo Cacciari, il 19 gennaio).
Ruzzenenti – che nel 2015 è stato tra i fondatori del coordinamento Basta Veleni, facebook.com/BastaVeleni – non è affatto stupito per i dati che emergono dallo studio pubblicato da Lancet Planet Health 2021: «Sono anni che anche le analisi dell’Ispra, nell’annuario delle emissioni e degli inquinanti, evidenziano un primato nazionale per la città di Brescia per quanto riguarda la presenza di particolato fine, il PM2.5, la cui gravità – è noto – risiede nella capacità di penetrare gli alveoli. Certamente, la nostra area metropolitana non è però paragonabile a quella di Milano o ad altre italiane per quanto riguarda il traffico veicolare e questo ci permette di evidenziare la presenza di altri fattori di rischio, che sono in particolare l’industria siderurgica e la presenza del grande polo di A2a, con la centrale a carbone e l’inceneritore che è costruito ed opera proprio a ridosso della città, bruciando ogni anno 700mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, ma soprattutto rifiuti speciali importati da ogni dove».

Nella storia industriale di Brescia, però, non c’è solo l’inceneritore, non ci sono solo le acciaierie.
In vaste aree della nostra città le concentrazioni di diossina e di PCB (PoliCloroBifenili, sono sostanze chimiche cancerogene, riconosciute a livello internazionale tra gli inquinanti organici più persistenti nell’ambiente, vietate dal 1985, ndr) sono a livelli paragonabili a quelli di Seveso: ciononostante su quei terreni, parchi pubblici e privati, i bambini continuano a giocare e non si pensa ancora alla bonifica dopo che vent’anni fa, a seguito della pubblicazione del mio libro, è scoppiato lo scandalo della Caffaro. Così, ancora oggi, stiamo discutendo che cosa fare di questo ex sito industriale e l’ipotesi al momento sul tappeto parla di una messa in sicurezza dei terreni superinquinati confinandoli in una megadiscarica all’interno della Caffaro, ovvero dentro la città: terreni talmente contaminati da non essere ammissibili neppure in una discarica per rifiuti pericolosi.

Parlando di rifiuti, Brescia è anche la capitale italiana delle discariche.
Il movimento Basta Veleni, che ho contribuito a fondare, è stato capace negli anni di portare in piazza per ben due volte oltre diecimila persone, per chiedere anche la chiusura delle discariche. Quelle che sono sparse in tutta la Bassa bresciana, tra l’area a Ovest della città (quella della Franciacorta) e l’area ad Est (quella di Montichiari e Castenedolo) della provincia, sommano a circa 100 milioni di tonnellate di rifiuti e i camion continuano ad arrivare ogni giorno. Nel 2018, sono stati smaltiti a Brescia il 75% di tutti i rifiuti conferiti in discarica in Lombardia, pari al 12 per cento di quelli “sotterrati” in tutta Italia. La presenza dell’inceneritore funge da attrattore: la nostra provincia è letteralmente sommersa dai rifiuti.