Nelle classifiche mondiali sulle quote di mercato dei prodotti biologici la Danimarca si conferma al primo posto, con il 13,4%, più del doppio della pur virtuosa Germania (5,1%), il triplo della Francia (4,4%) il quadruplo dell’Italia (3,2%, dati Fibl, 2019). Il paese è piccolo, si mormora (5,7 milioni) ma è un caso di studio interessante per capire come sia possibile far uscire il mercato del cibo biologico dalla nicchia. Non solo: la piccola Danimarca si è affermata anche nel mercato globale del bio, tra i primi paesi ad ottenere le autorizzazioni per vendere i propri prodotti alla Cina.

Ne parliamo con Paul Holmbeck, direttore di Organic Denmark, organizzazione no-profit, l’unica che rappresenta l’intera filiera del biologico in Danimarca.

Holmbeck, come spiega questo vostro primato?

Il successo dei prodotti biologici sul mercato danese è dovuto a molti fattori, ma credo che l’elemento chiave sia stata la collaborazione. Organic Denmark è un’associazione, ma anche un partenariato per il marketing e la comunicazione. Molto presto abbiamo cominciato a collaborare con le maggiori catene della grande distribuzione, la prima è stata negli anni ’80 una Coop di consumatori. Oggi collaboriamo anche con gli hard-discount come Aldi e Lidl. A fare la differenza è il fatto che noi operiamo a livello strategico sul valore che il cibo biologico può avere per la loro immagine. Li aiutiamo nell’assortimento dei prodotti e nel comunicare quanto vale il cibo biologico per la natura, l’ambiente, il benessere animale, la salvaguardia delle acque, del clima e altro ancora. Inoltre abbiamo il supporto del Governo e dei nove partiti presenti in Parlamento, così come delle associazioni ambientaliste, di animalisti, sindacati del settore pubblico e dell’agricoltura. Quindi abbiamo una forte politica per il biologico che è stata premiata nel 2018 con il Future Policy Award dalle Nazioni Unite. Abbiamo buone relazioni persino con le organizzazioni dell’agricoltura convenzionale: molte cose ci dividono, però continuiamo a dialogare e abbiamo da poco firmato un’alleanza per sviluppare una nuova politica sul clima, insieme con il ministero dell’Ambiente e del Cibo. E poi abbiamo organizzato molte feste: il cibo biologico lo merita!

Il cibo biologico è contrassegnato da un marchio rosso con una corona. Perché avete introdotto un marchio nazionale, diverso da quello europeo? Avete standard diversi?

No, gli standard sono gli stessi: anche i prodotti certificati UE possono essere venduti in Danimarca con il nostro marchio senza ulteriori certificazioni, ma devono essere confezionati in Danimarca. Il nostro è un mercato aperto. Abbiamo introdotto un nostro marchio perché ciascun paese ha un margine di interpretazione delle regole europee e questo ci ha permesso di alzare alcuni standard per il benessere animale, il clima e la natura. Per fare un esempio, in Danimarca non è ammesso l’uso del rame nei frutteti. Ma questo riguarda solo i produttori biologici danesi.

Chi certifica i prodotti che hanno il marchio rosso danese?

È lo stato che assegna le certificazioni e fa i controlli, non ci sono enti terzi certificatori privati come in Italia o altrove. I nostri certificatori sono assolutamente indipendenti. E il procedimento per la certificazione è gratuito. Perché far pagare chi rispetta l’ambiente?

I danesi, evidentemente, si fidano più del marchio rosso che del logo verde EU, come mai?

È vero: il 98% dei danesi conosce il marchio biologico danese e 8 danesi su 10 dichiarano di avere fiducia o molta fiducia in questo logo. Questo si spiega in parte nel fatto che noi danesi siamo un popolo fiducioso – e questo spiegherebbe anche perché siamo un popolo felice – e ci fidiamo del nostro governo, molto trasparente. Altri studi ci dicono che esiste un alto livello di fiducia nei confronti dei produttori biologici, che da decenni dimostrano di essere coerenti con i loro valori e di rispettare le regole. Abbiamo avuto davvero pochissimi casi di frodi nei biologico. I nostri agricoltori si controllano a vicenda. Abbiamo conquistato la fiducia dei consumatori e continuiamo a lavorare per conservarla.

Ci spieghi come funziona Organic Denmark: esistono altre organizzazioni simili in altri paesi, o si tratta di un «prodotto» tipicamente danese?

Organic Denmark, in danese Økologisk Landsforening, è stata creata nel 2002 da otto associazioni per il biologico. Io sono stato il primo dipendente. Ora abbiamo un’unica associazione e un unico presidente. Questo favorisce le azioni che facciamo sul mercato, e facilita i rapporti con la politica e la stampa. Siamo un piccolo paese e quindi probabilmente per noi è più facile tenere insieme tutte le organizzazioni. In realtà, differenti settori, per esempio, gli allevatori di maiali o i produttori di latte, hanno le loro commissioni, elette al loro interno, ed esercitano una notevole influenza. In effetti, non conosco molti altri paesi dove il movimento biologico abbia una sola organizzazione. Notiamo molto interesse per Organic Denmark, in particolare su come collaboriamo con la grande distribuzione e la ristorazione, che trainano il mercato, ma anche su come abbiamo sviluppato una politica per il settore biologico. Riceviamo molte richieste di consulenza da parte organizzazioni, governi e catene di supermercati di altri paesi.

In Italia il cibo biologico viene ancora percepito come troppo caro dalla maggioranza dai consumatori. In Danimarca come affrontate il tema del prezzo?

Il prezzo è una barriera che cerchiamo ogni giorno di erodere. Tutto sta nel vedere il valore del cibo, non solo il prezzo. Noi diciamo che il cibo biologico dà più valore al denaro, perché fornisce cibo vero e rispetta l’ambiente, e quindi siamo più ricchi se spendiamo di più per il cibo. Siamo convinti che le persone debbano sperimentare cos’è il biologico, fare esperienze. Ogni anno ben il 5% della popolazione danese (che in proporzione sarebbero 3 milioni di italiani!) va a visitare una fattoria biologica, per esempio durante l’EcoDay quando le mucche ritornano al pascolo dopo l’inverno. Quando tuo figlio è stato in una fattoria biologica, anche tu cominci a valutare il cibo biologico in un’altra prospettiva. Però abbiamo agito anche sul fronte degli hard discount, dal 2004. È stata una scelta controversa, ma ci ha aiutati: quando è arrivata la crisi economica del 2008 e molte persone hanno dovuto ripiegare sui discount, hanno potuto continuare a comprare biologico.

Avete la più alta quota di mercato, ma il terreno coltivato con metodo biologico è ancora l’8,6%, come lo spiega?

Dobbiamo importare frutta, verdura e cereali, molti prodotti non si possono coltivare in Danimarca e anche la competizione sui mercati internazionali è piuttosto dura.