Fin dalla sua nascita nel 2008, Giovanni Serpelloni è il capo, non ancora riconfermato dal premier Matteo Renzi, del Dipartimento politiche antidroga. Lo abbiamo intervistato, per chiedergli conto della nostra inchiesta sul business delle relazioni politiche, pubblicata lo scorso 12 aprile.

Partiamo dalla fine. Lei è ancora il capo dipartimento?

La cosa è molto chiara, ufficiale e formale. Il 9 aprile sono scaduti tutti i capi dipartimento. Se per gli interni non ci sono problemi, nel senso che restano sospesi ma assunti in presidenza, per gli esterni come me, c’è invece bisogno di riconfermarli. Nel frattempo, almeno formalmente, bisogna necessariamente rientrare all’amministrazione di appartenenza. Nel mio caso alla Asl di Verona.

Entriamo nel merito. Come mai avete affidato la ricerca sui consumi in modo diretto e senza valutare offerte alternative al consorzio privato Cueim, togliendola al Cnr?

Non è così. Quando io sono arrivato qui, nel 2008, mi sono trovato 21 milioni di euro da dover controllare e liquidare. Che il Cueim era di Verona, l’ho scoperto l’anno scorso: era stato contrattualizzato dall’allora ministero della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, per 1,9 milioni di euro, senza gara. Un altro aspetto importante è la legittimazione a fare questi indagini, quindi a mandare i questionari e raccogliere dati sensibili, che viene data per legge. Il Cnr non è legittimato e ha anche duplicato volontariamente alcune ricerche, infrangendo a mio avviso la legge sulla privacy.

In realtà il loro studio nasce nel 2001, prima ancora del vostro, nel 2009. Mi sembra quantomeno strano che il Cnr, Centro nazionale ricerche, non sia autorizzato dalla legge al poter fare studi raccogliendo dati sensibili.

Chiami il garante della privacy e chieda se un istituto può somministrare 30-40mila questionari con dati sensibili. Secondo me serve una legge precisa, non generica. Noi ce l’abbiamo e si tratta degli articoli 1 e 8 del Dpr 309/90 che ci obbligava alla creazione di un osservatorio centralizzato per produrre questi dati per la relazione al Parlamento, in forma economica. Anche qui, non abbiamo subappaltato in esterna, ci siamo attrezzati all’interno, andando poi ad utilizzare delle collaborazioni e il Cueim che avete citato non è l’unico.

Certo, avete fatto 94 accordi con diversi soggetti pubblici e privati. Tra i progetti avviati a fine 2013 e quelli di quest’anno, oltre 12 milioni di euro.

Tutti i nostri progetti, compresi alcuni del Cueim, sono stati inviati alla Corte dei Conti, senza che ne saltasse nemmeno uno. Prima di erogare un euro, facciamo questi controlli. È a tutela di noi stessi, prima ancora che dello Stato.

Conferma che il Cnr vi aveva chiesto 900mila euro e, per lo stesso lavoro, il consorzio Cueim 237 mila euro?

Sì, perché si fa un pacchetto unico. Soltanto che prima si usavano i questionari cartacei, e oggi quelli web che abbattono i costi. In entrambi i casi vale la privacy e l’anonimato, al contrario di quanto avete scritto voi.

Abbiamo espresso un dubbio…

Avete addirittura sollevato il sospetto di una nostra manipolazione dei dati. Se c’è una cosa che un ricercatore non deve mai fare è proprio questa. Perché la prima volta che lo fai, sei bruciato.

Resta però l’enorme differenza tra il vostro dato sui consumi, in calo, e quello del Cnr, viceversa in crescita. Qualcosa non torna.

E allora qual è quello giusto? Il Cnr è stato invitato più volte da noi, l’ultima 3-4 mesi fa, proprio per discutere delle differenze, ma sui tavoli tecnici e scientifici non sui giornali. Non mi si venga quindi ad accusare di mancata trasparenza o di non aver riconosciuto il limite di questo tipo di studi. I dati sono reali, anche se non piacciono. Il Cnr continua a dire, per esempio, che non crede ai residui di droghe trovati nelle acque reflue.

Questa metodologia del Mario Negri, altro ente privato, non ha però alcuna validazione scientifica. O sbaglio?

Così dicono, eppure li fanno in tutte le capitali europee. La validazione scientifica, quella che è stata fatta, in termini di rappresentatività è ancora maggiore di quella dei questionari.

Ai questionari della vostra prima relazione (2012) hanno risposto così poche persone (33,4% del campione) che avete dovuto precisare, per la prima volta, che il dato non aveva validità statistica…

Nel 2003, prima della nascita del dipartimento, le risposte comunque non erano molte di più: il Cnr comunicava all’Osservatorio europeo che si fermavano al 34%. Perché gli italiani, da sempre, non rispondono ai questionari inviati via posta. E ci potrebbe anche essere un problema sul campione.

È quindi solo un caso che il calo dei consumi ci sia stato dopo l’approvazione della Fini-Giovanardi, la nascita del dipartimento e il cambio di affidatario della ricerca?

Io non sono lo sceriffo di Giovanardi, e non l’ho mai frequentato né conosciuto prima di venire a Roma. Il mio inserimento nel 2008 è avvenuto perché Giovanardi cercava un capo dipartimento: ha chiamato un politico, Andrea Fantoma, un magistrato, Amato, un ex generale della guardia di finanza, di cui non ricordo il nome, e un tecnico. Dopo averci fatto fare delle prove ha scelto. A me ha chiesto di scrivere un decreto e come la pensavo su alcune cose. Poco dopo mi ha chiamato la sua segreteria per chiedermi se volevo fare il capo dipartimento.