Sono loro la «buona scuola». I centomila studenti che in novanta città grandi e piccole ieri hanno partecipato ai cortei contro la riforma Renzi-Giannini sulla scuola e la legge delega sul Jobs Act. Il senso dello slogan a misura di hashtag adottato dal governo è stato ribaltato nella prima manifestazione nazionale e di massa dell’autunno. L’espressione «buona scuola» è finita sullo striscione di apertura del corteo romano, il più grande della giornata, al quale hanno partecipato 20 mila studenti, docenti, sindacati (Cobas, Flc-Cgil e Usi) e precari ed è stata esposta sui gradini del ministero dell’Istruzione a Viale Trastevere da una decina di studenti che rivolgevano le spalle ad un plotone di finanzieri in tenuta antisommossa a protezione dell’entrata sbarrata da due autoblindo verdi minacciose.

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Questa può essere considerata una delle foto simbolo di una giornata che ha dato corpo a un’opposizione fino ad oggi bloccata, divisa e timorosa. «Gli studenti hanno sfiduciato il governo sul Jobs Act e sull’istruzione – sostiene Riccardo Laterza, portavoce della Rete della Conoscenza – Serve un estensione dei diritti, un lavoro dignitoso e non più precario, un reddito minimo che garantisca ai giovani condizioni di vita realmente migliori». Dopo giorni di assemblee partecipate nelle scuole, e un preciso lavoro di analisi e di contro-informazione sul «patto educativo», ieri gli studenti hanno mostrato più determinazione rispetto al sindacato (la Cgil) che non ha ancora ufficializzato la data dello sciopero generale contro il Jobs Act di cui tanto si parla (l’Unione sindacale di base lo farà il 24 ottobre). Le probabili occupazioni delle scuole, la manifestazione Cgil a Roma del 25 ottobre e lo «sciopero sociale» annunciato il 14 novembre dai movimenti sociali e dall’Usb potrebbero strutturare una cornice discorsiva alternativa rispetto a quella costruita da Renzi. Nel frattempo i tradizionali steccati tra le identità della sinistra sindacale, partitica e di movimento potrebbero anche provare ad allentarsi, favorendo la costruzione di uno spazio politico se non omogeneo, almeno riconoscibile. Ieri, ad esempio, la presenza nelle piazze dei Cobas – che hanno scioperato – e della Flc-Cgil poteva essere considerato un segnale in questo senso.

Da Napoli alla Sicilia, da Venezia a Bari il collegamento tra la riforma della scuola e il Jobs Act è stato immediatamente compreso. Nella scuola i saperi vengono assoggettati all’interesse dell’impresa e a una gestione manageriale degli istituti. Il Jobs Act concede tutto il potere alle imprese e mina alla base i diritti fondamentali dei neo-assunti. La specularità è tale da avere spinto gli studenti a parlare di «aziendalizzazione delle scuole» e «trasformazione del lavoro in merce». Significativo lo striscione di apertura del corteo di Bari: «La scuola non si paga, la scuola non si vende». L’articolo 18 per i neo-assunti sarà pure un simbolo, ma la sua abolizione è anche un’ipoteca su un futuro non certo promettente per questi ragazzi: «Il governo distrugge i diritti anche sui luoghi di lavoro, instilla la competizione e la valutazione come strumenti di divisione e controllo, fa trionfare definitivamente il neoliberismo come modello economico e sociale» è l’analisi degli studenti baresi. Lucidissima.

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A Torino, dove gli studenti manifesteranno contro un vertice europeo sul Welfare la prossima settimana, sono stati bruciati i fantocci di Renzi, Giannini, Berlusconi e Gelmini. A Milano, quelli che parteciperanno oggi e domani alla mobilitazione No-Expo hanno attaccato il simbolo delle politiche di precarizzazione in Italia: il volontariato all’Expo di 18.500 giovani a fronte di 1.200 posti tra stage, apprendistato e contratti a termine. «Non lavoro gratis per Expo. #Expofamale», lo striscione esposto in un cantiere in Viale Coni Zugna. Expo fa male perché chiama gli studenti a lavorare gratis, mentre le inchieste della magistratura hanno scoperchiato malversazioni da milioni di euro. La sproporzione è immensa, almeno quanto lo è l’ingiustizia che l’ha concepita. Tale consapevolezza è ormai radicata nei giovani e in ampi settori della società civile.

Seguire i cortei lungo la penisola permette di raccogliere i rudimenti di una critica all’economia politica dell’austerità. Pensiamo a Palermo, ad esempio, dove il corteo degli studenti ha lanciato uova contro le sedi di alcune banche. Un gesto contro «i tagli e le privatizzazioni in continuità con il passato, nell’interesse delle banche e a discapito degli studenti e delle famiglie» è stato spiegato. Al di là della coreografia, è quello che è successo tra il 2010 e il 2011 con il prestito della Bce alle banche italiane. Non è escluso che possa riaccadere con il Ltro avviato a settembre da Draghi.

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L’orizzonte è quello di un rovesciamento dell’austerità, ma un cambiamento effettivo resta incerto. Solo così ci saranno i «massicci investimenti» nell’istruzione auspicati da Piero Bernocchi dei Cobas. E una società che rilanci il ruolo dell’istruzione, il rispetto dei contratti di lavoro, il ruolo della cooperazione contro l’autoritarismo del preside manager o del presidente del Consiglio nel sistema politico. In serata il ministro Giannini ha invitato gli studenti a rileggersi le linee guida sulla scuola, un compito già fatto con risultati eccellenti a vedere la giornata di ieri. Il governo, com’è tradizione, fa finta di nulla e invita a partecipare alla consultazione sul piano scuola. Proseguirà su una strada che porterà probabilmente al taglio di 900 milioni di euro all’istruzione nella legge di stabilità. «Se ci sarà – annuncia Mimmo Pantaleo (Flc-Cgil)– proclameremo lo sciopero generale».