Gli oceani ricoprono il 70% del globo terrestre, eppure i due terzi di questa superficie sfuggono alle giurisdizioni, nazionali e internazionali. In altri termini, gli oceani sono un vero e proprio far west, le cosiddette acque alte non possono beneficiare delle garanzie delle aree marine protette, perché iniziano dove finiscono le “zee”, le zone economiche esclusive degli stati, al massimo a 200 miglia marine dalle coste: si tratta di più del 60% degli oceani, della metà della superficie terrestre.

GLI OCEANI SVOLGONO un ruolo importantissimo per la captazione della Co2 (ne assorbono il 30%), ma lasciati come area di nessuno, preda di tutte le mire economiche possibili (navigazione commerciale che trasporta sui mari il 95% delle merci mondiali, pesca anche illegale, sfruttamento dei fondi per i minerali…), sono zone di sfruttamento selvaggio. Le acque subiscono sempre più gli effetti del riscaldamento climatico che producono dilatazione termica, si riscaldano, si acidificano, e questo fenomeno influenza le correnti (che a loro volta influenzano il clima).

Le Cop climatiche si sono interessate degli oceani solo dal 2015, con la riunione di Parigi, che ha portato agli Accordi, ma ancora alla Cop26 di Glasgow, nel novembre scorso, l’interesse per gli oceani si è ridotto a una tavola rotonda centrata sulle finanze. Nel 2019, il Giec aveva lanciato l’allarme sul degrado del “polmone blu”.

Qualcosa però potrebbe muoversi, grazie alle allerte delle ong e all’interesse che ormai gli stati e le organizzazioni internazionali non possono più evitare, anche se Greenpeace avverte: «Attenti al blu washing». Ieri a Brest, in occasione dell’One Ocean Summit, organizzato dalla Francia nell’ambito della presidenza semestrale della Ue, un centinaio di paesi ha accettato la carta degli Impegni di Brest, sottoscritta dall’Onu, dall’Unesco e dall’Omi (organizzazione marittima internazionale). L’obiettivo è garantire una protezione per la biodiversità e le risorse degli oceani: 84 paesi si sono accordati per aderire alla coalizione di Alta ambizione che mira a proteggere il 30% delle terre e dei mari entro il 2030. Questa coalizione negozia senza risultati all’Onu dal 2018 per arrivare a un Trattato dell’Alto mare (Biodiversity Beyond National Jurisdiction), per il momento appoggiato a parole dai 27 paesi Ue più 16 altri, che potrebbe arrivare a essere adottato alla riunione di New York nel prossimo marzo, ma Russia e Cina restano decisamente contrarie.

A BREST, DOVE per tre giorni si sono riuniti scienziati e attivisti, ieri erano rappresentati 41 stati, con una quindicina di capi di stato e di governo presenti. Attorno all’ospite Emmanuel Macron, lo statunitense John Kerry, il primo ministro indiano Modi, il vice-primo ministro cinese, Wang Qishan, il primo ministro giapponese Fumio Kishida, Alassane Ouattara della Costa d’Avorio. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen (la Ue è la prima potenza marittima mondiale), si è impegnata per «invertire la tendenza». C’era il presidente portoghese, Marcelo Rebelo de Sousa, in vista della conferenza dell’Onu che si terrà a Lisbona a giugno sulla conservazione e lo sfruttamento della vita marina. Presente anche l’egiziano al-Sissi, l’Egitto a Sharm-el-Sheik ospita la prossima Cop27 a novembre di quest’anno. L’appuntamento più vicino è in Kenya, a marzo, dove si discuterà del futuro accordo mondiale sulla lotta contro l’inquinamento della plastica negli oceani, 9 milioni di tonnellate l’anno vengono riversate nelle acque, la Bei e le banche di sviluppo di Francia, Germania, Italia e Spagna promettono 4 miliardi a favore della Clean Ocean Initiative.

IN PREPARAZIONE, a livello internazionale, c’è un regolamento sui Fondi marini al di fuori delle zone esclusive degli stati, che dovrebbe regolare la raccolta di minerali in alto mare, contro il quale si ergono potenti interessi economici: l’Autorità internazionale dei fondi marini discute in realtà su come sfruttare al meglio le risorse minerarie sott’acqua.

QUARANT’ANNI FA è stata firmata la Convenzione di Montigo Bay sul diritto del mare. Ma sono vent’anni che si protraggono i negoziati in sede Omc per mettere fine alle sovvenzioni sulla pesca (si parla di più di 50 miliardi di dollari l’anno) che svuotano i mari, mentre gli accordi del Cap per la sicurezza e il controllo della pesca proposti dall’Omi sono stati ratificati dal 2012 solo da 16 stati e mancano 6 ratifiche perché possano entrare in vigore. Il recente episodio del mega-peschereccio lituano Margiris (il secondo più grande al mondo), che ha buttato a mare al largo de La Rochelle migliaia di pesci morti perché di scarso valore economico, ha mostrato lo scempio di uno degli aspetti dell’ultra-sfruttamento dei mari.

NEGLI IMPEGNI DI BREST c’è un capitolo sulla pesca illegale, che rappresenta un quinto delle prese mondiali: ma solo 16 paesi si sono impegnati a rafforzare la lotta contro queste pratiche. 22 armatori hanno aderito al label Green Marine Europe, 18 grandi porti europei e mondiali si impegnano ad accelerare la fornitura di elettricità per ridurre le emissioni di Co2 e contribuire alla “decarbonizzazione” del trasporto marittimo. L’Omi lavora alla creazione entro il 2025 di zone a debole emissione di zolfo nel Mediterraneo. Macron ha annunciato un aumento delle aree protette nelle acque australi francesi, portate a 1,6 milioni di kmq, negli arcipelaghi Crozet e Kergelen e nelle isole Saint-Paul e Amsterdam.