«E volete essere considerati lavoratori: un lavoratore non si può permettere di decidere un giorno per l’altro di non venire a lavorare. E non chiamatelo sciopero: lo sciopero è precisamente normato, e non può essere indetto la domenica pomeriggio per il lunedì. Buone vacanze, bambini!», scrive un professore associato del Dipartimento di ginecologia dell’Università di Padova in una e-mail arrivata poi all’attenzione di alcuni rappresentanti degli studenti di medicina dell’ateno veneto. L’oggetto dello sdegno del docente è la protesta organizzata dagli specializzandi locali in risposta all’accusa di aver messo a repentaglio la salute di pazienti e personale sanitario nella lotta al coronavirus.

«Non si può ovviamente generalizzare: ce ne sono di bravi, di lavativi e di ignoranti», aggiunge un cardiochirurgo di fama dell’Azienda Ospedaliera Università di Padova. «Un precedente ‘sciopero’ fu l’occasione per documentare che, mediamente, senza di loro gli strutturali lavorano di più e i reparti funzionano meglio».

Né studenti né lavoratori, i medici specializzandi d’Italia sono da tempo sospesi in un limbo. Retribuiti poco meno di 14 euro all’ora, spesso denigrati e privi di tutele nelle aziende ospedaliere dove passano lunghissime ore – da contratto 38, in realtà spesso molte di più – a migliaia si sono trovati in prima linea nella lotta contro il nuovo coronavirus.

Per gli specializzandi dell’Università di Padova, considerata un’eccellenza in campo sanitario, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una frase pronunciata da Daniele Donato, direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera locale. In una teleconferenza tenutasi il 1° maggio, Donato ha affermato che 22 specializzandi fossero risultati positivi al virus «per via dei momenti di socializzazione fuori dall’area ospedaliera».

Così, dalle 8 del mattino del 4 maggio l’80% dei 1.300 medici specializzandi di Padova ha deciso di interrompere le proprie attività formative professionalizzanti, “scioperando” in attesa di scuse soddisfacenti da parte del presidente. Pur mostrandosi solidali nei confronti della protesta, quelli stanziati nei reparti di emergenza e nelle aree Covid-19 hanno assicurato il servizio. Donato si è in seguito parzialmente scusato, dicendo di non voler criminalizzare nessuno e che non era sua intenzione offendere i medici in formazione. Una giustificazione che non è stata da loro però ritenuta sufficiente.

«Rispediamo al mittente l’accusa», dice Mirko Claus, presidente di FederSpecializzandi, l’associazione nazionale dei medici in formazione specialistica. «Gli specializzandi hanno la stessa incidenza di contagio degli altri operatori sanitari e respingiamo ogni momento di socializzazione». A due mesi dallo scoppio di un’emergenza che ha inizialmente investito il Veneto con particolare ferocia, «sentirsi dire che l’infezione è stata una nostra mancanza ci ha fatto sentire estremamente feriti».

Nel pomeriggio di ieri hanno ottenuto un incontro, organizzato dall’ateneo, a cui ha partecipato anche la Direzione generale e sanitaria dell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova. Alla richiesta di maggiore trasparenza e assunzione di responsabilità non è al momento stata data risposta.

Nel frattempo, sui social network – mascherine alla mano – a decine dagli ospedali d’Italia hanno mostrato la propria solidarietà ai colleghi veneti. Mantenendo una giusta distanza di sicurezza.