«La comprensione dei cambiamenti climatici ha fatto grandi passi in avanti in questi ultimi anni, tanto che oggi possiamo asserire con certezza che l’aumento delle temperature è dovuto principalmente a fattori antropici, cioè alla concentrazione di gas climalteranti nell’atmosfera». Erika Coppola, ricercatrice presso il Centro internazionale di Fisica teorica di Trieste, compare tra gli autori principali della prima parte del sesto Rapporto IPCC, in particolare del capitolo 12 (Climate change information for regional impact and for risk assessment). Inoltre, si è occupata della stesura del Sommario per i decisori politici, il documento che sintetizza e traduce le evidenze scientifiche per le stanze dei bottoni.

Quali sono le novità di questo nuovo Rapporto dell’IPCC?
Le novità sono diverse: intanto che il riscaldamento globale si sta intensificando ad un tasso abbastanza elevato, ovunque sul pianeta come non si è mai osservato in migliaia di anni. Sappiamo anche che è l’uomo a provocare tutto questo, senza dubbi. Lo possiamo affermare grazie ad un avanzamento della cosiddetta scienza dell’attribuzione, che è in grado di attribuire con metodo scientifico gli eventi estremi al contributo antropico del riscaldamento globale.

Il metodo è stato sviluppato per il Rapporto, prima non esisteva. Inoltre, sono stati introdotti i climatic impact-drivers, che in italiano possiamo tradurre come «forzanti climatiche responsabili di impatti per le società e l’ecosistema», un concetto che ci aiuta a capire quali condizioni climatiche possono essere rilevanti per la vivibilità di un certo luogo e per le sue attività, per esempio per la salute delle persone o per le attività produttive, che vanno valutati a livello territoriale per migliorare la prevenzione del rischio.

Voi ricercatori utilizzate modelli climatici per capire come funzionano le dinamiche del clima e fare previsioni. Ci spiega cosa sono, come funzionano, quanto sono attendibili?
Sono modelli che si basano sulle equazioni fondamentali della fisica e della dinamica con i quali riusciamo a rappresentare i processi fisici e capire come diversi fattori influiscono sul clima attuale, su quello del passato, anche molto lontano da noi, e come potranno influire nel futuro. Negli ultimi anni ne sono stati realizzati sempre di più, in tutti i centri di ricerca del mondo, e ci hanno permesso di fare simulazioni dei fenomeni sia a livello globale che regionale, addirittura ad una scala che è al di sotto dei 3 km, quindi con una notevole precisione.

Spazio per i negazionisti non ce n’è più?
Noi siamo convinti che i dati che presentiamo sono inequivocabili. Chi legge il Rapporto da un punto di vista scientifico dovrebbe non avere dubbi.

La cronaca di questa estate, tra alluvioni devastanti e incendi spaventosi, corrisponde – purtroppo – ai vostri modelli… La scienza può affermare che questi eventi sono causati dai cambiamenti climatici?
La frequenza l’intensità di questi eventi non ci stupiscono perché sappiamo che l’aumento delle temperature li rende più probabili. Però, per affermare se un dato evento avvenuto ieri è da attribuire ai cambiamenti climatici e non ad una causa naturale o alla variabilità del clima, abbiamo sempre bisogno di uno studio specifico della scienza dell’attribuzione.

C’è qualche buona notizia nel Rapporto?
La buona notizia è che non è impossibile invertire il trend dell’aumento della temperatura, siamo ancora in tempo per farlo se iniziamo a ridurre le emissioni in modo rapido e duraturo nei prossimi 20 anni. Non si riuscirà a rimanere entro 1.5°C di aumento, ci sarà sicuramente un superamento. Però, siccome sappiamo che c’è una relazione lineare tra concentrazione di CO2 e aumento della temperatura, se cala la CO2 cala la temperatura.

Lei ha partecipato alla stesura finale del documento riassuntivo per i decisori politici. In quella sede qual è stato il ruolo dei rappresentanti governativi? Di chi è l’ultima parola?
L’ultima parola ce l’ha sicuramente la scienza. Il ruolo dei rappresentanti dei governi è assicurare che quello che viene scritto, come si dice in gergo, sia policy-relevant, utile a coloro che devono sviluppare politiche di mitigazione e adattamento, ma non policy-prescriptive: non è il nostro ruolo di scienziati dire come si deve fare. Noi ci limitiamo a mostrare l’evidenza scientifica.

Lavorare a un report IPCC è un’attività molto impegnativa e non retribuita, che si fa su base volontaria. Cosa l’ha spinta a candidarsi?
Dopo tanti anni di lavoro e ricerca in un contesto internazionale, ho ritenuto che fosse arrivato il momento di fare questa nuova esperienza che ritengo una tappa del mio processo di apprendimento e di confronto costruttivo con tanti autori da ogni parte del mondo. Sono stata selezionata in base al mio curriculum scientifico. È stato un lavoro impegnativo, ha sottratto molto tempo alla famiglia, ma allo stesso tempo una grande soddisfazione professionale e personale.