Come previsto, ieri il Bundestag ha dato il via libera al terzo «pacchetto di aiuti» alla Grecia: 453 «sì» contro 113 «no». Da conteggiare anche 18 astensioni e 47 deputati che non si sono presentati al voto, preferendo restare in vacanza. Ma i numeri che veramente contano sono altri, quelli dei dissidenti nelle file democristiane: nel gruppo parlamentare della Cdu/Csu sono stati in 63 a disobbedire alla cancelliera Angela Merkel e all’arcigno ministro delle finanze Schäuble. E cioè 3 in più del mese scorso, quando gli onorevoli tedeschi diedero al governo il formale mandato a «trattare» il Memorandum con Atene dopo il drammatico «accordo» del 13 luglio.
Parlare di sconfitta per Merkel e Schäuble è sicuramente esagerato, ma un lieve danno politico per loro c’è: circa il 20% delle truppe non li segue. In un mese non sono riusciti a convincere i malpancisti, che, anzi, sono lievemente aumentati. E avrebbero forse potuto crescere ancora, se l’esperto ministro delle finanze ieri non avesse sfoderato tutta la sua abilità retorica nell’intervento in aula a nome del governo (la cancelliera è rimasta muta): ne è convinto Klaus-Dieter Frankenberger, editorialista dell’autorevole quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine, felice per il contenimento della «ribellione».
La tenuta della leadership di Merkel, finora inossidabile, dipenderà anche dall’eventuale trasformazione del gruppo dissidente in una corrente organizzata: un’ipotesi che ad oggi appare molto remota. Il cammino della cancelliera e del suo esecutivo di grosse Koalition con la Spd, dunque, continuerà a procedere senza grandi preoccupazioni, anche perché i socialdemocratici sono più che allineati. Il loro capogruppo, Thomas Oppermann, ieri ha lodato i contenuti del «piano di aiuti»: «È migliore dei precedenti perché non si limita a obiettivi di risparmio, ma prevede anche interventi per lo sviluppo». I problemi per il governo di Berlino potrebbero nascere, però, ad ottobre, quando verrà al pettine il nodo-Fondo monetario: per Schäuble è «irrinunciabile» che partecipi al piano, ma è noto che l’organismo guidato da Christine Lagarde si rifiuta di farlo se il debito di Atene non viene alleggerito. E il taglio del debito ellenico è proprio ciò che il ministro tedesco assolutamente non vuole.
Le ragioni del «no» al Memorandum non sono, ovviamente, solo quelle difese dai democristiani dissidenti. Mentre questi ultimi vorrebbero la Grexit e negano il loro consenso perché «i trattati Ue vietano di finanziare gli stati e Tsipras è un comunista di cui non ci si può fidare» (così la Cdu Veronika Bellmann), la Linke critica duramente le politiche di austerità contenute nell’«accordo»: «Noi dobbiamo impegnarci per lo sviluppo, non per la distruzione degli stati in crisi. Distruggere gli altri vuol dire alla fine distruggere anche il nostro Paese» ha affermato nel suo accorato intervento il capogruppo Gregor Gysi. Che non ha mancato di denunciare, con tagliente ironia, la vergognosa svendita dei 14 aeroporti greci (assai redditizi, perché in località turistiche come Mykonos e Creta) alla società tedesca Fraport, di proprietà pubblica: «Davvero curiosa una ‘privatizzazione’ che fa sì che il patrimonio pubblico della Grecia diventi patrimonio pubblico della Germania ad un prezzo vantaggiosissimo».
Uno scandalo, quello del saccheggio degli aeroporti, su cui aveva puntato il dito anche l’eurodeputato verde Sven Giegold, da giorni meritoriamente impegnato a svelare le nefandezze a cui il governo ellenico è costretto dai creditori internazionali. Ieri dalle sue pagine sui social network si è scagliato in particolare contro l’inclusione dei servizi idrici di Atene e Salonicco nella lista delle privatizzazioni: «L’acqua è un monopolio naturale e deve restare in mano pubblica». Nonostante le critiche al cosiddetto «piano di salvataggio» e al governo Merkel che l’ha imposto, in parlamento i Grünen hanno votato in maggioranza «sì», «come gesto di solidarietà verso i greci» e «perché l’intesa ha evitato l’uscita di Atene dall’euro». Argomenti in parte simili a quelli di un drappello di deputati della Linke, guidati dal vicesegretario Axel Troost, che ha scelto l’astensione, indicando questa come la scelta migliore per mostrare appoggio al governo Tsipras. Un sostegno che ha assicurato anche Gysi a nome della maggioranza del gruppo che ha votato «no»: «Non cambia nulla nel nostro rapporto con Syriza e il premier ellenico».