Autorità, religiose e di governo, hanno partecipato ieri ai funerali, trasmessi in diretta tv, delle vittime dell’esplosione di Ravanusa. Tragedie, funerali, riti che si ripetono, in una teoria senza fine.
Questa volta si tratta della rete dell’Italgas che copre circa 2 mila comuni, percorrendo il sottosuolo per 75 mila chilometri. Gli utili volano. Con cadenza periodica l’azienda tranquillizza i cittadini con comunicati in cui dà conto dei controlli effettuati sul metanodotto, vantando una costante riduzione delle fughe di gas. La digitalizzazione della rete procede spedita. Un’azienda modello, dunque, al passo coi tempi.

Fatto sta che a pochi giorni da un controllo tecnico, che non aveva rilevato alcuna criticità, a Ravanusa, 10 mila abitanti, in provincia di Agrigento, un’esplosione ha raso al suolo tre palazzine, danneggiandone molte altre, con nove morti e un centinaio di sfollati. Un bilancio provvisorio. Bisognerà quantificare i danni a infrastrutture e beni privati.
L’ipotesi più probabile della sciagura è che tubature vecchie di quaranta anni non abbiano retto alla pressione di una frana quindi la fuga di gas e l’esplosione. Una tragedia che si poteva evitare se tutti, azienda ed enti pubblici coinvolti, avessero fatto la loro parte.

Frane, erosioni e dissesto del suolo avvengono dopo le piogge intense. E in Sicilia è assente una politica di sistemazione idrogeologica del suolo. Non si spendono nemmeno i soldi a disposizione. Mancano i progetti. Da parte sua Italgas tende a risparmiare sulle spese di manutenzione. In questa situazione i centri abitati sono privi di difesa, esposti a un rischio permanente. Eppure, da tempo si susseguono e si intensificano tornadi, bombe d’acqua, frane e crolli. Eventi alluvionali si alternano a periodi di siccità e caldo estremo (questa estate il termometro in Sicilia ha toccato i 48,8 gradi). Il cambiamento climatico fa sentire i suoi effetti, agisce su un territorio già fragile.

La concreta prassi amministrativa della regione e dei comuni, che si fonda su una sorta di negoziato permanente pubblico-privato, contribuisce poi ad aggravare le cose.
I terreni, il paesaggio e l’ambiente sono utilizzati come merce di scambio. Tutte le “regole in materia di governo del territorio” sono saltate. Le istituzioni pubbliche hanno consentito l’attraversamento del territorio a reti infrastrutturali senza verifiche accurate. Un territorio che nel frattempo è diventato preda di uno sviluppo urbano irrazionale. Sarebbe il prezzo da pagare allo sviluppo. In verità è il prezzo che i cittadini pagano al rapporto malato tra politica e affari. Le organizzazioni sindacali e il mondo dell’associazionismo sono stati puntualmente esclusi da scelte che incidono sulla vita delle comunità locali.

Suolo e sottosuolo, rifiuti, sorgenti di acqua, acquedotti, autostrade, funivie, cave, ecc. sono affidati in concessione, ceduti al mercato, sottoposti alla legge del massimo profitto. Un filo rosso lega Ravanusa al crollo del ponte Morandi, alla tragedia ferroviaria di Viareggio, alla rottura della funivia del Mottarone e ad altri disastri dimenticati. Quando questi eventi si verificano, la parola d’ordine è minimizzare, depistare. Senza pietà per le vittime. Si può sempre offrire un risarcimento alle famiglie. L’importante è ricominciare. Tutto come prima.

La linea del governo Draghi è in perfetta continuità con il passato. Dà la priorità alla crescita dell’economia anziché alla sua trasformazione. Sacrifica l’interesse collettivo al primato dell’iniziativa privata. La transizione ecologica è declinata come “transazione” economica. Così invece di investire di più nelle energie rinnovabili, si tengono in vita processi energetici altamente emissivi. Viene finanziato con 12 miliardi il progetto Eni per la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica, per poi immetterla nei propri giacimenti di gas. Si è deliberatamente evitato di incentrare il piano di ripresa e resilienza su grandi obiettivi di “manutenzione”, ossia di cura, risanamento, messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture. Un programma di interventi puntuali e continuativi per correggere difetti di progettazione e lavori realizzati male. Gli investimenti in manutenzione, tra l’altro, sarebbero ampiamente ripagati da un recupero di efficienza, di valore d’uso e di qualità del territorio e del sistema infrastrutturale. E avrebbero un ritorno economico non indifferente in termini di benefici occupazionali e di sviluppo economico complessivo.