Sarà un po’ un giorno del giudizio per le riforme renziane, e arriverà ben prima del referendum costituzionale, slittato a fine novembre perché così conviene al presidente del Consiglio (tanto che per rispettare l’intervallo massimo di 70 giorni la data non potrà essere fissata nel prossimo consiglio dei ministri di fine agosto e nemmeno in quello successivo). La decisione della Corte costituzionale sull’Italicum – l’udienza è il 4 ottobre, l’esito potrebbe essere comunicato in quella stessa serata – è la più attesa da sostenitori e avversari del governo.

Anche perché pare ormai scontato che la Consulta deciderà di esaminare nel merito le questioni di costituzionalità che sono state sollevate dai tribunali di Messina e Torino.

Non lo era, visto che il precedente del 2013 con il quale i giudici costituzionali ammisero l’esame dei ricorsi contro il Porcellum, legge poi bocciata nella «storica» sentenza 1/2014, per quasi tutti i costituzionalisti dovrebbe rappresentare un caso più unico che raro. Una sorta di ricorso diretto da parte dei cittadini, non previsto nel nostro sistema ma resosi allora necessario per l’inerzia del parlamento di fronte a una legge palesemente illegittima.

Da quando però la Corte si è mossa per unificare la trattazione dei ricorsi di Messina e Torino (il manifesto ne ha parlato lo scorso 5 agosto) sono salite le quotazioni di una decisione nel merito. Con la variabile di un possibile rinvio per attendere l’esito del referendum costituzionale.

Sul punto si discute se a Renzi convenga che la Corte costituzionale «indebolisca» l’Italicum, magari accogliendo i sospetti di incostituzionalità sollevati da Torino che riguardano il divieto di apparentamento al ballottaggio e le pluri candidature dei capilista bloccati (cioè sicuri dell’elezione).

Chi sostiene di sì guarda alla posizione della minoranza Pd, orientata a votare No al referendum proprio per il «combinato disposto» della riforma con questi aspetti della nuova legge elettorale.

Chi sostiene di no insiste sul pessimo precedente in vista del referendum: l’Italicum rappresenta il completamento della revisione costituzionale, nel caso la Consulta lo giudicasse incostituzionale i cittadini ci penserebbero andando a votare, poco dopo, per la riforma. Renzi era di quest’ultimo avviso quando, due mesi fa, puntava ancora a far svolgere il referendum prima del 4 ottobre. Aveva lui stesso indicato la data del 2 ottobre, poi aveva cambiato idea di fronte ai sondaggi che davano il No in testa.

Ora ha bisogno di tempo e di una legge finanziaria «generosa» per recuperare. Ma per evitare cattivi presagi sul referendum può aver bisogno che la Consulta ritardi la decisione.

E non si può escludere che sia accontentato. La Corte potrebbe valutare che in caso di vittoria dei Sì al referendum nel sistema sarà introdotto un canale «ordinario» di rimessione alla Consulta delle leggi elettorali (il ricorso preventivo delle minoranze parlamentari). In questo modo i giudici delle leggi non dovranno più aprire altri spiragli «eccezionali» del tipo di quello aperto nel 2013 per il Porcellum.

Non solo. I giudici potrebbero decidere di allargare il campo delle eccezioni di incostituzionalità rispetto a quelle arrivate alla Consulta da Torino e Messina. È l’ipotesi che ha fatto Scalfari su Repubblica domenica scorsa: può accadere «che la Corte Costituzionale, dopo avere soddisfatto i quesiti che le sono sottoposti dal ricorrente, scopra altri difetti di legittimità nell’Italicum. Può non accadere ma può anche accadere ma in questo caso è impossibile prevedere di che cosa si tratterebbe».

Può accadere ad esempio che la Corte decida di sollevare davanti a se stessa la questione del modo in cui l’Italicum è stato approvato: al termine di una serie di irregolarità come la mancata discussione nelle commissioni, culminate nell’apposizione della questione di fiducia.

La Costituzione (all’articolo 72) al contrario prevede che per le leggi elettorali sia sempre adottata «la procedura normale di esame e approvazione diretta da parte della camera». Diversi costituzionalisti hanno sollevato questa obiezione, ripresa dai ricorrenti contro l’Italicum. Il giudice di Torino non ha ritenuto di sollevare questa questione davanti alla Consulta e nemmeno quello di Messina, quest’ultimo per carenza di documentazione. Se la Corte volesse prendere in esame questa possibile incostituzionalità «generale» avrebbe bisogno di chiedere formalmente alla camera i verbali di tutte le sedute. Dovrebbe rinviare la sua decisione a dopo l’esito del referendum. L’eventuale accoglimento determinerebbe l’incostituzionalità totale dell’Italicum, decisione davvero radicale. Che avrebbe però il vantaggio di dover essere presa quando il destino del governo e delle sue riforme si sarà già compiuto.