Un futuro forse non troppo lontano per una forma di procreazione che scardina e rivoluziona le convinzioni comuni della scienza aprendo nuovi scenari e un inevitabile e profondo dibattito chiamando in causa etica, biotecnologia, scienza, e il legittimo desiderio di maternità delle coppie dello stesso sesso. Si tratta del progetto artistico (Im)possible baby. Case 01: Asako & Moriga della giovane giapponese Ai Hasegawa ispirato alla scoperta delle cellule staminali Ips capaci di creare cellule primordiali di sperma e ovuli che i ricercatori pensano in grado, nel giro di alcuni anni, di far nascere bambini reali.

Si tratta di fotografie di grande formato che compongono l’album di famiglia di una coppia lesbica insieme alle due figlie virtuali, frutto dell’incrocio delle loro mappature dei Dna grazie al supporto dei laboratori scientifici e realizzato da uno dei maggiori studi di elaborazione digitale. La sfida e la provocazione alla scienza, che ha solide e documentate basi, è la possibilità di generare senza ricorrere al seme maschile. Si potrebbe pensare a una fervida immaginazione, una sorta di fantascienza artistica, ma non è così. A corredo di questo ci sono i protocolli genetici e un video-documentario realizzato dalla tv nazionale giapponese con le interviste a due scienziati. Nessun giudizio e nessuna presa di posizione della Hasegawa che decide di affrontare un tema controverso e molto dibattuto mostrando le diverse implicazioni ed emozioni senza trascurare le perplessità di uno studioso che teme eventuali sviluppi «distorti» di questa nuova possibilità di dare la vita.

Il percorso espositivo si snoda a cominciare da una didascalia che illustra i dati genetici della coppia reale omosessuale per immaginare le sembianze e le personalità delle ipotetiche figlie, e fotografate in posa insieme grazie all’uso di photoshop. Scene di vita quotidiana, dalla colazione alla festa del decimo compleanno, ai giochi. La ricerca sulle staminali potrebbe permettere la riproduzione omosessuale non più frutto della fantasia. Da questo si dipana una complessa riflessione sulle implicazioni etiche che si aprono su chi debba e possa decidere in materia: la medicina, la scienza o noi. E quando sarà possibile per una donna avere un figlio senza l’apporto maschile? La mostra, che nel 2015 ha vinto l’Excellence Award nella categoria Arte al Japan Media Arts Festival e anche nel 2016 il prestigioso Core77 Design Award, sviluppa un confronto sulla procreazione in laboratorio ed è un esempio di virtuosismo visionario.

L’esposizione si potrà visitare fino al 10 luglio a Bologna, nella Sala Studio dei Teatri di Vita, durante il Festival Cuore di Tokyo, rassegna di film, danza, e musica dal sol levante. In questi giorni Hasegawa è ospite anche della Triennale di Milano. L’abbiamo incontrato a Bologna.

Com’è nato il progetto e come ha conosciuto la coppia?
Nel 2013 sono tornata in Giappone da Londra, dove ho vissuto e studiato (al Royal College of Art, ndr). In molti paesi si discuteva di matrimoni gay, ma non in Giappone. Quell’anno ci si occupava anche di riproduzione e bioetica, di ovuli congelati per donne single. Mi sono chiesta perché in Giappone solo una donna l’avesse scelta. La riproduzione è un tema che riguarda le donne e spesso sono gli uomini a prendere le decisioni. Mi sono chiesta come deve essere usata la tecnologia e cosa succede per la minoranza omosessuale. In Giappone il matrimonio gay non è ammesso e non è permesso utilizzare la tecnologia per aiutare la riproduzione. Ho pensato si dovesse parlare della sua applicazione per una coppia dello stesso sesso, un processo possibile in futuro, ma che anche la bioetica vorrebbe fermare. Non capisco perché non sia possibile avere un figlio per una coppia gay. Ho deciso di realizzare il progetto quando ho letto che c’erano studi e possibilità per questo. Era utile aprire una riflessione con persone capaci di pensare seriamente alle implicazioni di questa tecnologia e alla possibilità di avere una famiglia. Che diritto si ha di opporsi? Per entrare meglio nella realtà ho deciso di rivolgermi a una vera coppia. Ho scelto due donne che vivevano in Francia, dove si sono sposate nel 2013. Ho chiesto se volevano condividere i loro Dna per usarli con un approccio e un intervento scientifico per mostrare loro le figlie virtuali. Se l’avessi fatto solo con photoshop sarebbe risultato meno reale e accolto come una stupidaggine. Poi abbiamo creato delle scene tali da rendere bene la realtà.

Questo lavoro implica molte questioni intime e delicate: dalla biotecnologia, all’etica, dalla scienza ai sentimenti e al desiderio di un figlio. Come ha fatto a conciliarli?
Ho fatto molta ricerca e ho dovuto stare molto attenta. Ho una responsabilità, non potevo illustrare teorie scientifiche sbagliate, ho chiesto l’aiuto agli scienziati per spiegare se è davvero possibile e quali possono essere le controversie. Ho cercato di essere imparziale. Questo lavoro nasce con il proposito di aprire un dibattito, non ho voluto prendere una posizione, la questione cruciale è qual sia il centro. Sto dalla parte della minoranza e credo che l’attitudine alla bioetica giapponese sia molto vecchia e pigra. Mi hanno accusata di essere stata fredda e distaccata con le protagoniste, ma se fossi stata troppo dalla loro parte avrei rischiato di manipolare la questione. In due anni potrebbe realizzarsi, forse ci vorrà più tempo. Pensare al futuro è difficile di questi tempi, c’è una tendenza generale a guardarsi indietro come fa Trump e molti paesi che stanno lentamente tornando a vecchi stili del passato. Speriamo di poterci arrivare in pochi anni, ma credo che la tecnologia sia strettamente correlata alla politica.
In Giappone i politici vorrebbero tornare alla famiglia tradizionale. Il mondo guarda indietro perché non crede in un futuro piacevole, in Giappone la crescita demografica è in calo perché gli uomini non svolgono nessun lavoro domestico, tutta l’organizzazione ricade sulle spalle delle donne che devono conciliare lavoro e bambini, per questo spesso le ragazze decidono di non diventare madri. Il lavoro ha creato preoccupazione perché mette in crisi la coppia tradizionale non prevedendo necessariamente la presenza di un uomo e una donna. Il fatto che il seme maschile non sia più fondamentale crea paure. In Giappone manca un vero movimento femminista e l’emancipazione femminile non è così realizzata, per questo il progetto ha avuto un grande impatto. Gli uomini possono avere figli fra loro pagando per una maternità surrogata. Credo che quando c’è l’amore non ci sia nulla di sbagliato, molte coppie che mettono al mondo bambini sono violenti o abusano di loro, mi chiedo perché a loro sia permesso di avere figli mentre agli altri no.