Più che di fine anno è una fluviale conferenza stampa di inizio mandato, il vero debutto di Giorgia Meloni in veste di premier. Arriva preparata, pronta a sottoporsi a un fuoco di fila di 45 domande a raffica. Molte risposte sono scontate e previste, dalla piena rivendicazione del sostegno all’Ucraina, con tanto di annuncio che la visita a Kiev sarà in calendario prima del 24 febbraio, al giubilo per una legge di bilancio con elementi di indirizzo politico che si sarebbero anche potuti evitare, coprendosi con i tempi stretti e navigando in acque sicure. Certo dagli spalti del governo Giorgia Meloni ha fatto precisamente quel che rimproverava agli altri quando si opponeva ma è tutta colpa dei tempi stretti, assicura, e promette che l’incresciosa faccenda non si ripeterà. Più inusuale il durissimo attacco contro l’Iran: «Quel che accade è inaccettabile, l’Italia non intende tollerarlo oltre». A Teheran la prendono malissimo e in tarda serata verrà convocato l’ambasciatore italiano.

SULL’IMMIGRAZIONE e persino sul Covid la premier non sorprende. Rivendica la linea dura contro l’immigrazione illegale ma in nome «del diritto a non emigrare che viene prima di quello a emigrare». Quanto al virus, per ora l’onda cinese preoccupa fino a un certo punto e comunque proprio il caso cinese dimostra che la strategia costrittiva non serve. Meglio consigliare e convincere: mascherine, tamponi e sì, anche vaccini ma se nelle categorie a rischio. La linea Speranza resta lontanissima. Sul Qatargate si permette l’unica frecciata al curaro: «Basta parlare di Italian Job. Casomai è un Socialist Job».

Non è tutto repertorio però. Sul presidenzialismo la presidente è più precisa e categorica delle attese: «Entro gennaio incontrerò i leader delle opposizioni. Se vorranno partecipare a una riforma condivisa potrà farla il parlamento. Altrimenti non escludo una proposta del governo». Insomma se Pd e 5S accetteranno di riscrivere la Carta si potrà pensare allo strumento parlamentare, come una bicamerale. In caso contrario la premier è decisa a procedere come un panzer. Anche sulla ratifica del Mes la risposta non è quella prevedibile. Nonostante l’Italia sia l’unico Paese che blocca la riforma la premier non intende cedere, almeno non subito: «Noi non lo prenderemo, almeno fino a che io conto qualcosa. Comunque dopo la Grecia non lo prenderà nessuno e che senso ha tenere paralizzati decine di miliardi in un momento come questo?». E dunque? Semplice: «Chiederò al presidente del Mes di rivedere la riforma».

IMPOSSIBILE CHE UNA politica così esperta non sappia che è più facile vedere Salvini a capo di una nave Ong che non far riscrivere la riforma del Mes. Quando si parla di “atteggiamento dilatorio”… Ma bisogna capirla: se c’è un terreno friabile sul quale la sua maggioranza rischia lo scivolone è proprio il Mes. Il governo tutto invece rischia di finire al tappeto su altri fronti. Sul Pnrr, perché «la fase difficile comincia ora, quando si tratta non più di scrivere ma di costruire», e sulla manovra di aprile, quando bisognerà cacciare un’altra ventina di miliardi per i sostegni e magari anche per la Sanità. Nemmeno Giorgia l’Ottimista se la sente di escludere lo scostamento di bilancio, «ma non lo farò….ooopppsss non lo farei a cuor leggero».

La domanda più insidiosa però non riguarda un presente impervio ma un passato lontano: che ne pensa la presidente, fresca d’abbraccio con la presidente della comunità ebraica Dureghello, degli elogi al Msi dispensati da La Russa e da Isabella Rauti? Va a merito della leader di FdI, checché se ne pensi della risposta, il non aver cercato riparo dietro le mezze parole o l’ipocrisia di rito. Rivendica con passione sincera: «Il Msi ha avuto un ruolo importante, traghettare verso la democrazia milioni di italiani sconfitti. Non va questo gioco al rilancio per cui si deve cancellare sempre di più». In compenso la leader di FdI non esita un attimo ad annunciare che parteciperà alle celebrazioni del 25 aprile. Contraddizione solo apparente: il nume tutelare del suo partito non è Mussolini ma Giorgio Almirante, considerato il vero padre della destra democratica.

IL MESTIERE POLITICO emerge quando si tratta di commentare le parole del ministro dell’Istruzione che giubila perché finalmente nelle scuole non ci sarà più politica. Lei che di politica a scuola ne ha fatta tanta e ha sempre invitato a farla concorda? «Alludeva ai professori che indottrinano non credo agli studenti. In quel caso non sarei affatto d’accordo». Formula elegante per ammettere che il ministro ha detto una sciocchezza.

Nel complesso Giorgia Meloni è uscita bene dalla prova. Voleva far sentire che fa sul serio e ci è riuscita. Ma il suo «fare sul serio», ispirato a un liberismo thatcheriano molto semplificato, rischia di produrre disagio sociale a valanga e su quel fronte la premier è apparsa del tutto insensibile, che si parli di carcere, sanità, occupazione o povertà. La bomba sulla quale è seduta è quella e la premier non sembra neppure vederla. Figurarsi disinnescarla.