Ieri l’ultraconservatore Ebrahim Raisi si è insediato alla presidenza della Repubblica islamica. Poco cambia ai vertici di Teheran: le questioni importanti saranno comunque decise dal leader supremo Ali Khamenei. Il cambio di poltrona non giova però all’immagine dell’Iran: il presidente uscente Hassan Rohani non è uno stinco di santo, ma in questi anni ha avuto modi conciliatori con l’Occidente, anche grazie all’abile ministro degli Esteri Zarif.

Raisi porta invece con sé il proprio passato sanguinario: nel 1988 firmò la condanna a morte di 5mila oppositori marxisti e di sinistra. Ricopriva il ruolo di procuratore aggiunto del tribunale rivoluzionario di Teheran e – dice lui – non fece che obbedire a una decisione dell’Imam Khomeini. Eppure, nel 2009 fu altrettanto feroce con il Movimento verde di opposizione che cercava di contrastare la rielezione di Ahmadinejad.

Ora l’Unione europea dovrà fare buon viso a cattivo gioco. Alla cerimonia di inaugurazione prevista per domani parteciperà il vicesegretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna, Enrique Mora, per conto dell’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell: «È fondamentale impegnarsi a livello diplomatico con la nuova amministrazione e passare in modo diretto messaggi importanti. Come coordinatore dell’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), per l’Alto rappresentante riprendere i negoziati a Vienna e facilitare il ritorno a una piena attuazione dell’intesa è una priorità chiave».

L’attitudine al compromesso della diplomazia europea non piace ovviamente agli israeliani che rivolgono un appello ai dirigenti europei ad «annullare la loro vergognosa partecipazione alla cerimonia del macellaio di Teheran» perché «adulazione e servilismo nei confronti di regimi violenti e totalitari servono solo a incoraggiare ulteriore violenza e aggressione».

Gli israeliani fanno anche notare che l’inaugurazione della presidenza Raisi ha luogo «pochi giorni dopo l’uccisione da parte dell’Iran di due civili, uno dei quali cittadino di un paese dell’Ue, in un attacco terroristico lanciato contro una nave civile».

Le autorità dello Stato ebraico fanno riferimento all’attacco, probabilmente con droni esplosivi, contro la petroliera Mercer Street. Sono morti un cittadino britannico e un cittadino rumeno, ma gli iraniani respingono le accuse.

Raisi si insedia alla presidenza di uno dei paesi più importanti del Medio Oriente: grande cinque volte e mezza l’Italia, l’Iran racchiude giacimenti enormi di petrolio e gas. Con i suoi 83 milioni di abitanti, è uno dei paesi più popolosi della regione.

Se Raisi ha vinto le elezioni del 18 giugno con il 61,9% delle preferenze, è perché lo hanno deciso il leader supremo Ali Khamenei – a cui deve la sua carriera – e il Consiglio dei Guardiani che ha escluso dalla corsa elettorale gli altri possibili contendenti. Raisi vanta inoltre relazioni privilegiate con l’imam Alamolhoda (ne ha sposato la figlia Jamileh) che guida la preghiera nella città santa di Mashhad, dove si registrano ulteriori restrizioni alle donne.

Sessant’anni, turbante nero dei discendenti di Maometto, barba sale pepe, il mantello lungo dei religiosi musulmani, Raisi ricopre il rango di hojatolleslam, un gradino sotto l’ayatollah.

All’indomani della Rivoluzione del ’79, a soli 20 anni, era già procuratore generale a Karaj, non lontano dalla capitale. Trascorre 30 anni in magistratura, scalando le vette. Dal 1989 al 1994 è stato procuratore generale di Teheran, dopodiché procuratore generale della nazione.

Nel 2016 il leader supremo lo nominava a capo della fondazione religiosa che gestisce il mausoleo dell’Imam Reza di Mashhad, nonché un immenso patrimonio industriale e immobiliare. Tre anni dopo sarà nominato a capo della magistratura.

Alla poltrona di presidente ambiva da tempo, ma forse il suo obiettivo è la massima carica dello Stato: il leader supremo ha 82 anni e, dopotutto, lo stesso Khamenei era presidente alla morte dell’Imam Khomeini nel giugno 1989.