Se alle parole seguiranno i fatti lo sapremo presto. Fin dalle prossime riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin previste per il 15 e 16 marzo. Ma già ora lo scontro tra le colombe e i falchi nella Ue non è più soltanto su quando tornerà in funzione il Patto di stabilità e crescita, ma se non sia venuto il momento di mettere in discussione le “regole sul debito”. È stato questo il cuore del discorso pronunciato dal Commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, il 26 febbraio alla riunione dell’European Fiscal Board (Efb), organismo “indipendente” di consulenza della Commissione europea istituito nel 2016.

Dopo avere ricordato che “con la crisi precedente abbiamo visto quanto fosse costoso chiudere i rubinetti troppo presto”, pur avvertendo – come Draghi – che negli aiuti bisogna distinguere “tra aziende vitali e non vitali”, che comunque “i rischi di fare troppo poco superano i rischi di fare troppo”, si è posto l’interrogativo se le regole attuali della Ue siano adatte alla nuova situazione. “Una regola rigorosa sul debito potrebbe portare a un aggiustamento drastico, prociclico, controproducente ed improbabile” ha proseguito, per cui non si tratterebbe soltanto di procrastinare la riattivazione del Patto e neppure soltanto di flessibilizzarne l’applicazione, ma, come hanno colto diversi commentatori (anche se da contrapposte sponde), di operare una revisione delle regole.

Dovrebbe seguirne necessariamente la modifica del Six Pack, il pacchetto di normative introdotto dopo la crisi del 2008 per imporre politiche di austerità in particolare ai paesi mediterranei, che rappresenta la base giuridica del famigerato Fiscal Compact. Se così fosse le conseguenze sarebbero rilevanti poiché il Fiscal Compact, pur restando in vigore come trattato internazionale intergovernativo, non affonderebbe più le sue radici nel diritto comunitario e perderebbe quindi il suo status di mantra inviolabile.

È bene ricordare che i regolamenti introdotti nel novembre 2011 nell’ambito di sei atti legislativi (il six pack, appunto), hanno prodotto una più rigida applicazione del Patto di stabilità e crescita, stabilendo l’obbligo per gli Stati membri di convergere verso l’obiettivo il pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5%; l’obbligo per i Paesi il cui debito supera il 60% del Pil di ridurlo di almeno 1/20 della eccedenza rispetto alla soglia del 60%; un semi-automatismo delle procedure per l’irrogazione delle sanzioni per i Paesi che violano le regole del Patto.
Il Commissario all’economia non lo dice esplicitamente, ma in questo modo verrebbero messi in discussione i famosi “stupidi” paletti del 3% e del 60% che come si sa vennero inventati nel giro di poche ore senza un’analisi teorica, come ebbe a testimoniare qualche tempo fa uno dei suoi inventori, Guy Abeille, alto funzionario francese ora in pensione: “Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità».

Solo che poi è diventata la dannazione per i paesi più deboli della Ue, come l’altro paletto del 60% che derivava semplicemente dalla constatazione che il livello di indebitamento europeo all’inizio degli anni ’90 era pari a circa il 60% del Pil, e quindi se ne poteva fare una regola generale, fingendo di dimenticare che trattandosi di una media non era così per tutti i paesi europei. Vi è chi ha contestato la ricostruzione di Abeille, sostenendo invece che al 3% si arriva, mediante equazioni, partendo dal limite del 60%. Ma in questo caso non si fa che spostare l’arbitrarietà da un paletto all’altro. E se uno deriva dall’altro, entrambi sarebbero privi di qualunque base scientifica o logica.

In ogni caso vi è da aspettarsi un inasprimento dello scontro interno alla Ue. Sono in gioco i parametri essenziali su cui si fonda il Trattato di Maastricht e quelli a seguire. A rendersene conto non sono i suoi avversari, ma ora persino i suoi sostenitori. Non stiamo assistendo a una conversione sulla via di Bruxelles, ma più semplicemente al fatto che la drammaticità delle ripetute crisi hanno scosso fin dalle fondamenta i pilastri considerati immodificabili su cui poggia la costruzione europea.

La crescita così imponente, necessitata e sollecitata del debito rende non solo del tutto impossibile il rispetto del Fiscal Compact ma anche la restituzione del debito stesso, almeno quello post covid, come disse il presidente del Parlamento europeo con ingenua sincerità. Vien quasi da ridere ripensando all’insistenza sulla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio con la modifica dell’art.81 Cost., voluta in particolare dal Pd. I fatti hanno travolto le false teorie, i dogmi si sono rivelati aporie. C’è, e non sono pochi, chi teme che toccando i Trattati si scoperchi il vaso di Pandora. Magari avvenisse ciò per davvero, e in positivo questa volta. “Grigia è la teoria e verde è l’albero della vita”, scrisse Goethe. Almeno i tedeschi dovrebbero saperlo a memoria.