[ACM_2]L’inflazione si conferma ai minimi, e si fa sempre più concreto il pericolo della «deflazione». Con i consumi al palo, i prezzi non crescono, o meglio crescono poco: gli ultimi dati registrati dall’Istat, vedono per il nostro Paese un tasso di inflazione medio del 2013 all’1,2%, in calo rispetto al ben più alto 3% calcolato nel 2012. E va ricordato che secondo gli analisti, in genere un’economia «sana» prevede un’inflazione che al minimo si attesti intorno al 2%. Quindi adesso è allarme.

La deflazione infatti rischia di aprire una spirale economica negativa: i consumi frenano ancora di più (in attesa di un nuovo abbassamento dei prezzi), la produzione ristagna perché la domanda cala, ed è più oneroso pagare il debito pubblico. Quindi, seppure per i nostri portafogli i prezzi bassi siano favorevoli, dall’altro lato la macro-economia non sta brindando. E infatti ieri Bankitalia ha registrato un nuovo record del debito pubblico, che ha sfondato quota 2100 miliardi, a 2.104 miliardi di euro.

Andando sullo specifico di dicembre 2013, l’indice, al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente e dello 0,7% nei confronti di dicembre 2012 (lo stesso valore di novembre), confermando la stima provvisoria. Come si vede, aumenti piuttosto bassi.

Il mini-aumento dei prezzi nel 2013, seppure l’1,2% sia meno della metà del 3% registrato nel 2012, secondo il Codacons rappresenta comunque una «stangata annua da 257 euro a famiglia». Secondo l’associazione dei consumatori, la netta decelerazione «dipende da un crollo dei consumi senza precedenti, che ha riguardato anche beni di prima necessità come gli alimentari». Guardando alle diverse composizioni delle famiglie, per un nucleo di due persone l’aumento vale 345 euro, per uno di tre 419 euro e per una di 4 componenti 462 euro.

Un costo che, secondo il Codacons, anche per un single è superiore al beneficio massimo che ci sarà in busta paga con la riduzione del cuneo fiscale, pari a 225 euro o all’eliminazione dell’Imu sulla prima casa, il cui versamento medio è stato pari a 225 euro. Per la sola spesa di tutti i giorni, ossia per i soli prodotti ad alta frequenza di acquisto, nella media del 2013 il tasso di crescita dei prezzi dell’1,6% (più alto dell’1,2% generale) implica una maggior spesa di 223 euro per una famiglia di 3 persone.

Secondo la Cia (confederazione degli agricoltori), nell’ultimo anno gli italiani hanno speso in media il 60% del loro reddito mensile soltanto per affrontare le spese obbligate – tasse, utenze domestiche e mutuo per la casa – con la conseguenza di dover tagliare su tutto: solo per il cibo c’è stata una riduzione della spesa del 4% circa, che vuol dire circa 2,5 miliardi di euro in meno per acquistare alimentari e bevande.

Pur di risparmiare, aggiungono i coltivatori della Cia, il 65% delle famiglie italiane compara i prezzi con molta più attenzione; il 53% gira più negozi alla costante ricerca di sconti, promozioni e offerte speciali; il 42% privilegia i «formati convenienza»; il 32% abbandona i grandi brand per marche sconosciute e prodotti di primo prezzo e il 24% ricomincia a fare cucina di recupero con gli avanzi della cucina. Insomma, con la crisi ci si arrabatta come si può.