Si fa presto a dire carbon farming senza giusti criteri finanziari e agroecologici
Il 50% della CO2 emessa non rimane in atmosfera ma si dissolve, metà nell’oceano e metà viene assorbita dal suolo o dalle piante Oltre a patate, latte, salami o bollicine, le aziende agricole europee potranno presto vendere anche crediti di carbonio. I potenziali acquirenti saranno imprese intenzionate a ridurre la loro impronta ecologica […]
Il 50% della CO2 emessa non rimane in atmosfera ma si dissolve, metà nell’oceano e metà viene assorbita dal suolo o dalle piante Oltre a patate, latte, salami o bollicine, le aziende agricole europee potranno presto vendere anche crediti di carbonio. I potenziali acquirenti saranno imprese intenzionate a ridurre la loro impronta ecologica […]
Oltre a patate, latte, salami o bollicine, le aziende agricole europee potranno presto vendere anche crediti di carbonio. I potenziali acquirenti saranno imprese intenzionate a ridurre la loro impronta ecologica per dichiararsi carbon neutral o decise a compensare le proprie emissioni. Questo il meccanismo che la Commissione europea sta elaborando per finanziare il carbon farming, cioè per remunerare le pratiche agronomiche, zootecniche e forestali in grado di catturare anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera e stoccarla nel suolo agricolo e nella vegetazione oppure di ridurre il rilascio di CO2 e di altri gas climalteranti come il protossido di azoto (N2O), legato per lo più all’uso dei fertilizzanti chimici e il metano (CH4), che deriva in gran parte dagli allevamenti.
LE PRATICHE SONO QUELLE CHE permettono di incrementare la sostanza organica dei suoli o di fissarla nella vegetazione sottraendola all’atmosfera a beneficio del clima: lavorazione conservativa (no-till) dei campi, uso di colture intercalari e di copertura, conversione dei seminativi o dei campi lasciati a riposo (set-aside) a prati permanenti, interventi di riforestazione e re-integrazione degli alberi nel paesaggio agricolo, di agro-silvicoltura, ripristino di torbiere e zone umide, coltivazione di leguminose, ecc. Alcune di queste lavorazioni caratterizzano già le aziende agroecologiche e biologiche, a differenza dell’agricoltura convenzionale intensiva che tende a impoverire i suoli di materia organica e a provocare il rilascio del carbonio.
SECONDO LA COMUNICAZIONE Sustainable Carbon Cycles (Cicli di carbonio sostenibili) della Commissione europea, «nell’ultimo decennio gli assorbimenti (di CO2 ) da parte degli ecosistemi terrestri nell’Ue sono in declino, in gran parte a causa del deterioramento degli ecosistemi forestali». Per invertire questa tendenza, il meccanismo dei crediti di carbonio dovrebbe offrire un incentivo agli agricoltori a mettere in atto pratiche rispettose del clima. Sulla carta, un meccanismo vantaggioso sia per gli agricoltori, che potrebbero attingere ad una fonte aggiuntiva di reddito, sia per il suolo grazie a potenziali benefici collaterali come il miglioramento della fertilità e della ritenzione idrica, la riduzione dell’erosione, l’aumento della biodiversità, e anche per il clima, se il meccanismo funziona, senza distorsioni.
TUTTAVIA IL RISCHIO CHE SIA UN CASTELLO di carta, leggi greenwashing, è in agguato. A evidenziare i pericoli di fare affidamento esclusivamente sul mercato dei crediti di carbonio per finanziare il carbon farming europeo è stata la rete di Ong Environmental European Bureau (EBB) in una audizione informale davanti al Consiglio dei ministri europei dell’Agricoltura. «Il carbon farming rischia di diventare uno slogan privo di significato se la cattura del carbonio è perseguita senza tenere in considerazione la biodiversità o la sussistenza delle comunità rurali e se gli investimenti vanno nella direzione di false soluzioni come la coltivazione di monocolture o la semina su sodo in agricoltura intensiva», sottolinea EEB.
SECONDO EEB, LEGARE A DOPPIO FILO la diffusione delle pratiche di carbon farming al mercato dei crediti di carbonio senza creare obblighi e target specifici e senza misure di protezione dell’ambiente e della biodiversità può creare effetti negativi. Qualche esempio? Remunerare pratiche no-till, cioè senza aratura, insieme a colture di copertura in contesti di agricoltura intensiva, può portare all’abuso di erbicidi (glifosato) per seccare le colture prima della semina. Incentivare l’uso del biochar (biomassa sottoposta a processo di pirolisi) non garantisce un sequestro netto di carbonio e presenta incognite sul fronte della contaminazione dei suoli perché il processo di pirolisi può portare a sviluppare IPA (Idrocarburi policiclici aromatici) che sono nell’elenco delle sostanze cancerogene.
«È CRUCIALE CHE IL CARBON FARMING non sia costruito su un meccanismo di finanziamento solamente quantitativo e basato sui risultati, cioè su pagamenti per tonnellata di carbonio sequestrato, che può avere effetti distorsivi e discriminanti nei confronti delle aziende più piccole, degli agricoltori che si trovano nelle zone aride o di quelli che praticano già il carbon farming da molto tempo – spiega Célia Nyssens, responsabile delle politiche per l’agricoltura e i sistemi alimentari di EEB – naturalmente anche queste categorie devono poter mettere in atto pratiche di carbon farming, ma non possono avere le stesse potenzialità di sequestro del carbonio delle grandi imprese agricole che praticano da tempo agricoltura intensiva in climi temperati. Di conseguenza, ogni programma di finanziamento deve prendere in considerazione anche elementi qualitativi, per esempio, la qualità del suolo, la protezione della biodiversità».
IL RISCHIO E’ CHE LE AZIENDE PIU’ VIRTUOSE, quelle che hanno i suoli più ricchi di sostanza organica perché li hanno sempre salvaguardati, si ritrovino penalizzate. Il sistema, così come tratteggiato nella Comunicazione della Commissione Ue, presenta diversi problemi, secondo lo studio di EEB Carbon farming for climate, nature, and farmers, rispetto al sistema di monitoraggio, rendicontazione e verifica, che, oltre ad essere laborioso e costoso, non è in grado di dare risultati certi e affidabili: quantificare quanto e per quanto tempo il carbonio catturato dall’atmosfera rimane nel suolo è ancora oggetto di stime non così precise da poter supportare un sistema esclusivamente quantitativo (come spiega Susan Trumbore nell’intervista qui a fianco). E può variare da campo a campo, in caso di incendi o al modificarsi delle condizioni climatiche.
IL MECCANISMO DEI CREDITI DI CARBONIO ha già mostrato le sue falle: con la logica del mercato, se il prezzo dei crediti rimane basso, le aziende più inquinanti troveranno conveniente acquistarli per compensare le emissioni invece di investire per abbatterle, migliorare l’efficienza o passare a fonti di energia rinnovabile. In una lettera al vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans, firmata da EEB insieme con Greenpeace, Ifoam, Iatp e altre organizzazioni, vengono elencate alcune condizioni affinché gli agricoltori europei possano giocare un ruolo nel ridurre le emissioni e nella transizione verso l’agroecologia e la resilienza climatica.
LA PROTEZIONE DELLA BIODIVERSITA’ deve essere al centro dell’iniziativa del carbon farming e i benefici dell’approccio agro-ecologico vanno esplicitamente riconosciuti; gli assorbimenti del carbonio con metodi naturali non devono servire a compensare emissioni provocate da altri settori; l’Ue deve evitare forme di incentivazione contraddittoria: non può chiedere agli agricoltori di assorbire il carbonio e al tempo stesso di aumentare i raccolti destinati ai bio- carburanti, che continueranno ad emettere gas climalteranti. Quanto ai fondi della PAC, dovranno essere sempre più utilizzati per incentivare pratiche di coltivazione rispettose del clima e sarà la Commissione a dover vigilare affinché gli stati membri facciano la loro parte nei piani nazionali.
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