L’apparecchio televisivo veniva spesso considerato come una scatola. Il lungo tubo catodico ne condizionava la forma. Che quindi poteva essere di varie dimensioni, ma assomigliava inevitabilmente a una scatola. E la scatola, nella nostra cultura, rimanda al concetto di contenitore. Cioè di qualcosa che ha al suo interno degli elementi che sono dotati di un’identità definita e che noi possiamo riconoscere e raccogliere, come, in questo caso, i programmi.

Ma la scatola televisiva oggi è cambiata: ha aperto completamente i suoi lati, che si sono anche separati e adesso formano superfici piatte, di varie forme e misure. Non è più un contenitore che noi possiamo aprire e, come con la scatola dei regali, trovarvi tante meraviglie. È un insieme di schermi piatti che vengono applicati agli oggetti che ci circondano e agli spazi che abitiamo. E questo ha inevitabilmente modificato anche il nostro rapporto con ciò che viene trasmesso da questi schermi. Che non è più così affascinante e meraviglioso, come quello che usciva dalla scatola della televisione tradizionale. È semplicemente qualcosa di cui non possiamo fare a meno per sopravvivere, per mantenere i nostri preziosi contatti con l’ambiente sociale e culturale in cui viviamo.

Raymond Williams ha affermato che la televisione tradizionale, come tutti i media, è stata voluta dalla sua società. È stata inventata nel Novecento, ma in realtà l’avevano già immaginata e progettata nel corso degli ultimi decenni del secolo precedente. Cioè durante quella seconda rivoluzione industriale che ha determinato un’intensa crescita della mobilità e stravolto i modi di vita delle persone, generando l’urgenza di disporre di strumenti comunicativi più efficaci di quelli disponibili sino a quel momento. È chiaro che anche le nuove forme della televisione rispondono alle necessità della società. I suoi schermi, siano essi di computer, smartphone o apparecchi televisivi domestici, sono sempre più in un rapporto di interazione reciproca e tendono a trasmettere gli stessi flussi comunicativi.

I flussi di una società ipermoderna che si è progressivamente sfilacciata. Che è fluida e frammentata e ha bisogno di essere tenuta insieme da un network in cui circolano costantemente dei messaggi. Il posto dei programmi della scatola dunque è ora occupato da una circolazione ininterrotta di materiali espressivi. Questa è la televisione di oggi. Una specie di tappezzeria della vita quotidiana. Che è stata creata però anche dalla moltiplicazione dei canali e dei loro contenuti. Cioè da un’abbondante offerta di contenuti che genera inevitabilmente anch’essa distanza e scarso coinvolgimento. Oggi infatti esistono nella televisione italiana tre importanti soggetti: i due tradizionali network generalisti – Rai e Mediaset – e il terzo polo a pagamento Sky. Poi c’è la piccola La 7, ma c’è soprattutto una miriade di canali digitali degli stessi soggetti principali oppure di altri, come le numerose televisioni che operano su base regionale o provinciale. E tutti gli operatori che sfruttano abilmente le possibilità tecnologiche del Web, come Chili o Netflix.

L’apertura della scatola, insomma, ha coinciso con una crescita dell’offerta a disposizione dello spettatore. Il quale ha visto così crescere il suo potere e ciò ha comportato anche una crescita della sua infedeltà. Il consumo televisivo però, nel complesso, continua a essere elevato. Certo, è cambiato. Ad esempio, la possibilità tecnologica di disporre di un programma in qualsiasi ora della giornata ha causato una desincronizzazione della fruizione, che ha determinato a sua volta un indebolimento di quella funzione di regolazione del tempo sociale che veniva tradizionalmente svolta dalla televisione generalista con il suo palinsesto. Così come ne è derivato un indebolimento della sensazione di far parte di una comunità immaginaria riunita nello stesso momento davanti a un unico schermo. Tale sensazione non è però scomparsa. Le immagini, semplicemente, vengono fruite in tempi differenti, ma sono le stesse immagini che consumano anche altre persone.

In conseguenza di ciò, le reti televisive sono oggetto anch’esse a un processo di indebolimento e per lottare contro tale processo non possono fare altro che adottare una strategia di «brandizzazione», ovvero cercare di costruire un’identità di marca che sia specifica e in grado di generare una maggior fedeltà da parte degli utenti.