Il referendum del 20-21 settembre sul taglio dei parlamentari rappresenta una consultazione-trappola, dove al cittadino non è dato vincere mai, qualsiasi esito prevarrà (il SI al taglio o il NO al taglio). Formalmente coinvolti in una procedura partecipativa di rango costituzionale, di fatto saremo chiamati a dire la nostra sull’antipolitica. In breve, nessun cittadino voterebbe SI al taglio di un terzo dei medici, o degli infermieri, o dei giudici, o degli insegnanti; ma di un terzo dei parlamentari, magari sì. Tra tutti coloro che partecipano allo svolgimento di pubbliche funzioni, gli unici sotto tiro sono questi ultimi, i parlamentari (dunque, i politici eletti): e cos’è mai questa, se non antipolitica?

È bene che il cittadino intenzionato a votare SI prenda atto da subito della gravità di un voto finalizzato a punire la funzione politica: che invece, piaccia o meno, resta la funzione più importante, come da ultimo l’emergenza Covid-19 ha dimostrato in giro per il mondo (dove politiche diverse hanno determinato numeri molto diversi di contagi e decessi). Il cittadino che vota NO tuttavia, e qua è la trappola, si troverà in una situazione non migliore. Si troverà a indirettamente a difendere dall’antipolitica proprio chi la pratica, ovvero l’attuale classe politica.

Sia chiaro: in Italia, l’attuale classe politica non è molto diversa da quella conosciuta a partire dal 1994, popolata da personaggi che hanno avuto rapida ascesa proclamandosi migliori perché diversi dai politici (esattamente mentre lo diventavano), o da politici che hanno fatto di tutto per non sembrare tali. E che hanno, guarda caso, tutti tentato riforme costituzionali, come per ottenere la certificazione massima di tale ingannevole diversità.
Con riguardo alla modifica costituzionale in corso, gli argomenti pro e contro emergono in maniera cristallina se cercati in un discorso costituzionalistico ampio, inerente al ruolo della Costituzione e al rapporto governanti-governati.

È qui che la questione si fa seria (più delle conseguenze pratiche della mera riduzione dei parlamentari da 945 a 600): perché dimostra ancora una volta che delle modifiche costituzionali i governanti dell’antipolitica continuano a fare un uso svilito, dannoso per la collettività (che nella Costituzione finisce per riconoscersi sempre meno, ad ogni nuova riforma proposta).

La balorda battaglia tra politica e antipolitica, se proprio deve aver luogo, dovrebbe svolgersi e risolversi altrove. Ad essa, invece, è stata data un’imprevista e abnorme solennità, ovvero la forma di un referendum che fa della Costituzione il campo di (quella) battaglia. E chi ha determinato tutto ciò, chi ha voluto che una modifica della Costituzione si riducesse a sconsiderato trofeo per l’antipolitica, appartiene ad una classe politica che verosimilmente non merita d’esser difesa.

In definitiva, con il SI si fa antipolitica, con il NO si sta con chi l’antipolitica la fa. Per questo il referendum è una trappola (per i cittadini più che per il Governo, come qualcuno ha sostenuto): perché qualunque sarà il suo esito, sarà comunque un esito di cui rammaricarsi.

L’autore è ricercatore in diritto pubblico