Si è dimesso il presidente della Camera brasiliana, Eduardo Cunha. Durante una conferenza stampa, attorniato dai suoi e quasi in lacrime, Cunha ha recitato il ruolo del perseguitato: «Sto pagando un altro prezzo per aver dato inizio all’impeachment», ha detto. E’ stato lui, infatti, ad aver orchestrato il “colpo di stato parlamentare” contro la presidente Dilma Rousseff, attualmente sospesa dall’incarico per difendersi dalle accuse di aver truccato il bilancio dello stato. Importanti intercettazioni relative all’inchiesta per corruzione Lava Jato, rese pubbliche dai giornali hanno evidenziato la trama politica tessuta da Cunha e dall’attuale presidente ad interim Michel Temer per far fuori Rousseff e proteggere la propria impunità.

Il 23 giugno, la Corte suprema del Brasile ha aperto un nuovo processo contro Cunha, ritenendo consistenti gli indizi per corruzione e riciclaggio di denaro, evasione fiscale e falso in bilancio. Un’inchiesta nata dalla scoperta di alcuni conti bancari in Svizzera intestati a Cunha, e di presunta provenienza illecita. L’ex presidente della Camera – potente terminale delle chiese evangeliche più volte sfuggito alla magistratura e considerato un vero e proprio gangster politico -, era stato sospeso dall’incarico e sostituito dal deputato Maranhao, che però non gode del necessario consenso tra i parlamentari. Con questo gesto, Cunha spera di favorire le contrattazioni in corso nel suo campo – quello del Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb), lo stesso a cui appartiene Temer – e nuove elezioni parlamentari che darebbero la maggioranza al suo schieramento e gli garantirebbero le coperture necessarie: anche perché – ha già fatto sapere – se deve andare in galera, non ci andrà da solo.

Cunha ha augurato al governo Temer «la miglior riuscita»: ovvero di arrivare fino al 1 gennaio 2019, terminando il mandato al posto di Rousseff, contro la quale ha avviato l’impeachment il 12 maggio. Per estromettere definitivamente la presidente – eletta con 54 milioni di voti nel 2014 – è necessaria una maggioranza di due terzi al Senato, 54 su 81. Il presidente del Senato, Renan Calheiros, ha detto che la votazione dovrebbe aver luogo il 20 agosto, un giorno prima della cerimonia conclusiva dei giochi olimpici di Rio, ma finora non vi sono state conferme ufficiali.
Se i detrattori di Rousseff non la spuntano, la presidente potrà tornare al suo incarico. In questo caso, ha promesso di indire nuove consultazioni generali, con nuove regole elettorali che consentano di venire a capo della frammentazione del quadro istituzionale, che ha finora obbligato il Partito dei lavoratori ad alleanze capestro come quella con il Pmdb, sempre determinante nella formazione dei governi.

Il 6 luglio, durante l’udienza a sua discolpa, gli avvocati di Rousseff hanno una volta di più dimostrato l’inesistenza delle accuse contro la presidente. «Sono una donna onesta, questo processo è una farsa», ha ribadito Dilma ai sostenitori, che denunciano la natura golpista dell’impeachment.

Il Pt, che per il 2018 ha di nuovo candidato alla presidenza Lula da Silva, ha promesso una svolta a sinistra e una spinta a favore delle riforme strutturali chieste dalle organizzazioni popolari. Intanto, forte dei ripetuti scandali che stanno travolgendo il governo de facto e che hanno obbligato alle dimissioni diversi ministri, Rousseff spera di spostare i voti a suo favore. Ma nel campo opposto si è aperta la caccia milionaria al voto di scambio. Temer ha già ampiamente dimostrato su quale via proseguirà il suo governo ultraconservatore, e ha annunciato che presto dovrà «adottare misure impopolari».

Intanto, fidando sul sodale argentino Mauricio Macri e sul neoliberista presidente del Paraguay Horacio Cartes, Temer cerca di far breccia nel Mercosur, e di estromettere il Venezuela dalla presidenza pro-tempore, cambiando così di segno alle relazioni solidali sud-sud. Un terzo del suo governo, che di certo non ha tratto la propria legittimità dalle urne, è indagato per corruzione. Il neo ministro degli Esteri José Serra (del Psdb, il partito del candidato anti-Rousseff Aecio Neves) vanta una lunga serie di sconfitte elettorali e non ha nessun titolo per dare lezioni di vera democrazia. Però sostiene che Maduro non può assumere la presidenza pro-tempore del Mercosur perché il suo governo non è abbastanza democratico e non rispetta i diritti umani. Domani, se ne discute a Montevideo, in Uruguay.