Con le improvvise dimissioni del ministro della Difesa Chuck Hagel l’amministrazione Obama perde una figura di spicco del governo, in vista di un biennio conclusivo che promette di essere il più difficile del suo mandato. Hagel era l’unico membro repubblicano dello staff della national security, un moderato che era succeduto a Leon Panetta nel febbraio del 2013.

Nel darne l’annuncio ieri mattina Obama ha affermato che «se gli Stati Uniti oggi possono vantare le forze armate più potenti che il mondo abbia mai conosciuto lo si deve all’investimento in finanze e in sangue di molte generazioni e al carattere dei suoi leader». Il presidente ha ringraziato il dimissionario 24mo ministro della Difesa ricordando di averlo nominato «in un momento in cui le forze Usa affrontavano un periodo di importante transizione caratterizzato dal drawdown in Afghanistan, il bisogno di preparare le forze armate a future missioni facendo al contempo fronte a «difficili decisioni fiscali». Obama ha elogiato l’operato di Hagel nel gestire «una maggiore presenza americana in Europa centrale e orientale», il rafforzamento della Nato e dell’alleanza con paesi asiatici, compresa la Cina, oltre che i nuovi impegni militari e umanitari, specificamente l’escalation delle missioni contro l’Isis in Iraq e Siria e le operazioni in Africa per combattere Ebola. Missioni che confermano, ha concluso Obama come le forze armate americane siano oggi la «maggiore forza di bene» al mondo.

Dietro ai convenevoli di circostanza tuttavia ci sarebbe qualcosa di meno roseo della decisione volontaria di «concludere il proprio servizio» citata nella conferenza stampa. Secondo fonti all’interno dello stesso dipartimento della difesa Hagel sarebbe stato spinto alle dimissioni senza tanti complimenti a causa di crescenti diverbi con la Casa bianca sulla gestione in particolare delle operazioni di Iraq e Afghanistan dove la “smobilitazione” di due anni fa è stata sostituita da una escalation su due fronti. L’intensificazione delle operazioni anti-Isis hanno ribaltato lo scenario della riduzione delle operazioni (e dei bilanci) militari che Hagel era stato chiamato a gestire. E contrariamente a quanto affermato ancora ieri da Obama la «fine delle operazioni afghane» annunciata entro il 2015 appare ora assai più dubbia e flessibile. Proprio la scorsa settimana è trapelata la notizia che le «operazioni offensive» in Afghanistan potrebbero protrarsi ben oltre il limite annunciato. Hagel, ministro moderato scelto per gestire una «decrescita» si sarebbe insomma trovato fuori sincrono con un presidente riscoperto «decisionista» o, come dichiara più asciuttamente una fonte del governo, «Hagel non era all’altezza del compito».

Secondo I repubblicani si tratta invece dell’ennesimo esempio di fallimentare politica estera dell’amministrazione Obama. Il senatore McCAin, capo dei falchi Gop, ha suggerito che la dipartita di Hagel sia stata determinata dalle interferenze della Casa bianca nella gestione della politica estera. Simili accuse sono state avanzate da Leon Panetta, predecessore di Hagel allo stesso dicastero, nella recente autobiografia in cui imputa a Obama un ritiro «prematuro» dall’Iraq e un «temporeggiamento» sulla Siria che avrebbero entrambi favorito la degenerazione della situazione mediorientale. Dal canto suo Obama, che durante tutto il mandato ha mostrato un inquietante predisposizione alle operazioni covert utilizzando Cia, droni e forze speciali, non ha sicuramente favorito i rapporti sereni col Pentagono.
Qualunque siano i retroscena, l’amministrazione perde, dopo il ministro di giustizia Holder, un altro pezzo cruciale nel momento meno propizio per il presidente “azzoppato” dalla recente cocente sconfitta elettorale che perdipiù ora dovrà sottoporre un sostituto a un congresso la cui maggioranza, inferocita dal decreto sull’immigrazione, ha ogni motivo per ostacolarlo.