Fino a ieri sera tardi dal Quirinale non era trapelato alcun commento, ma è chiaro che le notizie arrivate nel pomeriggio da Palermo non hanno fatto piacere a Giorgio Napolitano e rischiano di riaprire lo scontro tra il Colle e i pubblici ministeri siciliani che indagano sulla trattativa Stato-mafia. Dalla procura siciliana è infatti arrivato il via libera alla presenza in videoconferenza dei boss Totò Riina e Leoluca Bagarella all’udienza che si terrà il 28 ottobre prossimo quando, ad essere ascoltato al Quirinale, sarà proprio il presidente della Repubblica.

Insieme alla presenza dei due boss, la procura ha dato i suo assenso anche alla partecipazione dell’ex ministro degli Interni Nicola Mancino, che nel processo palermitano è accusato di falsa testimonianza. A decidere sarà adesso il presidente della Corte d’assise di Palermo, probabilmente già nell’udienza di oggi. A sollevare la questione nei giorni scorsi erano stati i difensori dei due boss mafiosi. Ieri il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Francesco Del Bene, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno espresso il loro parere in una relazione consegnata al presidente della corte Alfredo Montalto. Secondo i pm la possibilità di partecipare all’udienza, seppure con le forme della videoconferenza, sarebbe prevista dalla norma richiamata dalla stessa Corte d’Assise per lo svolgimento dell’udienza al Quirinale, cioè l’articolo che disciplina l’audizione del teste sentito a domicilio. Per la procura, inoltre, alla luce dei principi generali che consentono all’imputato di partecipare al processo, un’eventuale esclusione, a fronte di una precisa istanza, potrebbe determinare una nullità processuale. Da qui il parere favorevole.

La possibilità che all’udienza del 28 ottobre possano partecipare anche Totò Riina e suo cognato Leoluca Bagarella suscita molte perplessità e imbarazzo al Quirinale, dove non si vuole neanche pensare alla possibilità che i due boss mafiosi possano prendere la parola. La legge stabilisce infatti la possibilità per gli imputati di fare delle dichiarazioni, possibilità che se negata, come hanno ricordato i pm, al processo d’appello potrebbe portare all’annullamento della deposizione di Napolitano o anche dell’intero processo.
Il motivo per cui i magistrati siciliani insistono nel sentire il capo dello Stato è semplice.

In una lettera l’ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, morto in seguito, confessò a Napolitano il suo disagio per alcuni episodi accaduti tra il 1989 e il 1993 e riconducibili, secondo i pm, alla trattativa Stato-mafia.

Napolitano ha già detto di non avere novità rilevanti da riferire, ma ha accettato di testimoniare. Se confermata dalla Corte d’Assise la presenza – seppure in videoconferenza dal carcere – di Riina e Bagarella potrebbe adesso convincere Napolitano a fare marcia indietro.