«Sono incazzato e sapete benissimo con chi». Giancarlo Galan non si capacitava soprattutto per quelle dimissioni firmate dal personale sanitario dell’ospedale dove era ricoverato già alle 9 di ieri mattina, in tempo per assistere al voto della Camera sul suo arresto, richiesto dalla magistratura nell’ambito dell’inchiesta sul Mose di Venezia, e concesso dall’Aula con 395 sì (Pd, M5S, Sel, ma anche i centristi del Pi, Lega e Fratelli d’Italia-An), due astenuti di Sc e i 138 no del centrodestra.
Quando nel primo pomeriggio il deputato di Forza Italia lascia in carrozzina il nosocomio e viene trasportato in ambulanza a casa, prima di essere arrestato e portato nel carcere di Opera, a Milano, i suoi colleghi di centrodestra hanno già fallito ogni tentativo di rinviare il voto di una settimana perché, come spiegava Cicchitto, «non ci risulta che Galan sia in ospedale per finta e allora sarebbe auspicabile che il voto sul suo destino venga fatto con lui presente». Il Pd ha motivato il suo no al rinvio in quanto «Galan è stato già ascoltato dalla Giunta per tutto il tempo che ha ritenuto». Così, mancando il consenso unitario dei gruppi richiesto dal regolamento di Montecitorio, l’Aula ha votato subito a scrutinio segreto concedendo l’autorizzazione all’arresto del presidente della Commissione cultura ed ex governatore della Regione Veneto dal 1995 al 2010. Proprio in questo ruolo Galan, che si è sempre detto «totalmente estraneo ai fatti», è accusato di corruzione e altri reati dalla procura di Venezia che per tre anni ha indagato su un supposto giro di finanziamenti occulti, tangenti e abuso di potere costruito attorno al mega cantiere da 5 miliardi del Mose. L’inchiesta coinvolge a vario titolo un centinaio di persone indagate e ha già portato all’esecuzione di 35 arresti, tra i quali quello del sindaco di Venezia, Orsoni, di centrosinistra, a cui sono però già stati revocati anche i domiciliari.
Misura, questa, che verrà richiesta anche per Galan, come hanno annunciato i legali dell’ex ministro, Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, i quali hanno definito il voto di ieri alla Camera «una pagina buia», perché è stato negato all’indagato il diritto di essere presente e di difendersi (Galan però era già stato dimesso e in ogni caso non aveva richiesto ai medici un permesso per lasciare l’ospedale per qualche ora). Fatto sta che malgrado le sue condizioni di salute – viene sottoposto ogni quattro ore al controllo del livello di glicemia, riceve terapie per le apnee notturne, per il diabete, e deve restare fino al 20 agosto con la gamba ingessata in estensione – in serata è stato portato in carcere.
Quella di ieri è la settima autorizzazione all’arresto di un deputato decisa dalla Camera nella sua storia repubblicana. I deputati del M5S hanno chiesto a Galan di dimettersi subito dalla carica di presidente della commissione Cultura per evitare le «conseguenti ricadute pratiche sui lavori» e perché non ritengono «opportuno che oltre a percepire lo stipendio da parlamentare continui anche a incassare l’indennità» aggiuntiva. Al contrario, Forza Italia con Berlusconi in testa parla di «barbarie» perché «il fumus persecutionis si palesa nel fatto che Galan, pur avendolo richiesto, non è stato ascoltato dai pm». Inoltre, scrivono, «è colpevolizzata la figura del parlamentare in quanto tale, perché come deputato avrebbe il potere di reiterare il reato e di inquinare le prove». Con i suoi problemi di salute, concludono, nemmeno «se fosse un cittadino qualsiasi ora sarebbe già in carcere». Per il Pd invece «le battaglie per le garanzie dei cittadini non si fanno nelle Giunte». Dunque il sì all’arresto non sarebbe motivato da alcun «cedimento, resa né rinuncia». «Esercitiamo – ha dichiarato il Pd in Aula –la prerogativa stando al merito e senza pregiudizi; il valore tutelato è l’autonomia del Parlamento».