Arricchito dalla cosiddetta clausola “salvacronisti”(quelli delle testate i cui editori hanno dichiarato fallimento), il testo che riforma la legge sulla diffamazione è stato approvato ieri dalla Camera in terza lettura. E passa ora nuovamente al Senato per il via libera definitivo, se non ci saranno ulteriori modifiche. A votare «sì», insieme alla maggioranza, anche Sel e Forza Italia: in tutto 295 favorevoli alla legge che abolisce il carcere per i giornalisti (di stampa, tv e internet) che diffamano, mantenendo solo le pene pecuniarie (tra i 5 mila e i 50 mila euro) e l’obbligo della pubblicazione della sentenza. Tre i voti contrari e 116 (Area Popolare, M5s e Lega) gli astenuti.

La più importante modifica apportata durante l’ultimo esame della Camera è la clausola nata dall’impulso dei giornalisti de l’Unità costretti, dopo la chiusura della testata messa in liquidazione, a pagare di tasca propria i risarcimenti a coloro che sono stati ritenuti danneggiati dagli articoli pubblicati (ma è il caso anche della vecchia cooperativa de il manifesto, oggi il Liquidazione coatta amministrativa) .

La nuova norma prevede che quanto pagato dal direttore o dall’autore della pubblicazione avrà natura di credito privilegiato nell’azione di rivalsa nei confronti del proprietario o dell’editore della testata.

In ogni caso, per i direttori le pene per l’omesso controllo sono ridotte di un terzo e comunque, salvo corresponsabilità dirette, vengono punite come reato colposo. Un peso maggiore, nella nuova legge, ha la rettifica o la smentita, che devono essere pubblicate senza commento o risposta, ma se tempestivamente pubblicate vengono però valutate dal giudice come causa di non punibilità. L’azione civile, poi, dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione dell’articolo.

E sono prevista anche pene pecuniarie per il querelante che intenti una querela temeraria. Una forma, questa, di condizionamento o di censura dell’articolista, o anche in molti casi, uno strumento di speculazione economica sugli errori commessi in redazione. Casi non rari: le querele temerarie sono, secondo l’osservatorio di Ossigeno per l’informazione, almeno 40 su 100.