La parola d’ordine è «semplificare». I primi a tirare un sospiro di sollievo, una volta visto il decreto, sono i dirigenti scolastici. «Le misure – fa sapere il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli – ridurranno in maniera significativa il ricorso alla didattica a distanza e alla didattica digitale integrata e, eliminando la previsione dei tamponi “T0” e “T5” che spesso è rimasta inattuata, semplificheranno il lavoro dei dirigenti scolastici e dei loro collaboratori, stremati da un sovraccarico burocratico senza precedenti e senza orari». Soddisfatti? «Queste misure vengono incontro alle esigenze delle famiglie e rispondono, almeno in parte, alle nostre richieste di semplificazione».

Anche gli epidemiologi concordano che di norme più chiare c’era un gran bisogno, anche se l’obiettivo di prevenire il contagio in classe sembra ormai abbandonato. «Sono necessarie poche regole semplici perché comunque bisogna aspettare che l’intensità della circolazione del virus diminuisca ancora un po’» dice l’infettivologo Pierluigi Lopalco. «Però, una volta che la curva dei ricoveri si stabilizza e con un deciso abbassamento del numero dei positivi asintomatici, dobbiamo pensare a un ritorno a una situazione come quella di prima della pandemia in ambiente scolastico». Quando dirigenti scolastici e segreterie non dovevano occuparsi a tempo pieno di casi, focolai e quarantene. D’accordo anche Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) con una precisazione: semplificare, spiega «non vuole dire banalizzare i rischi ma trovare un compromesso tra la questione epidemiologica-infettivologica e la gestione delle quarantene da parte delle famiglie».

La durata più breve della quarantena a scuola, che ora durerà cinque giorni per i non vaccinati e sarà sostituita dall’autosorveglianza per i vaccinati, risponde più alla ragion pratica che a quella pura. Ma ha anche un fondamento scientifico. Secondo il Center for Disease Control di Atlanta (Usa), l’istituto di ricerca più prestigioso al mondo sulle epidemie, la trasmissione della variante Omicron avviene un paio di giorni prima dei sintomi e fino a tre giorni dopo. Carlo Signorelli, docente di igiene all’università Vita-San Raffaele, spiega come le regole debbano necessariamente seguire l’evoluzione del virus: «La quarantena si stabilisce in base al periodo massimo di incubazione. Se la malattia ha un periodo di incubazione più veloce, anche la quarantena sarà più breve, cosi come l’isolamento. Quindi, la variante Omicron suggerirebbe di allentare queste misure per liberare un po’ di persone costrette a stare in casa».

Se le nuove norme risolvono alcune criticità, ne introducono anche di nuove. La discriminazione tra alunni vaccinati e non vaccinati ha provocato l’astensione della componente leghista nel Consiglio dei ministri. Al di là delle schermaglie di palazzo il tema rappresenta un nodo delicato, a partire dal diritto alla privacy. La legge impone alle scuole di acquisire l’informazione sullo status vaccinale per attuare le procedure di prevenzione del contagio, come appunto la dad differenziata. Allo stesso tempo, lo stato vaccinale è ritenuto un «dato sensibile» da parte del Garante per la privacy. Che ha invitato a «non porre in atto iniziative finalizzate all’acquisizione di informazioni sullo stato vaccinale degli studenti e dei rispettivi familiari». Trovare l’equilibrio tra il diritto alla riservatezza e l’efficacia delle norme non sarà facile.

Rimane anche il nodo degli alunni fragili. Le nuove norme aumentano oggettivamente la probabilità di circolazione del virus, dato l’elevato numero di casi positivi e asintomatici. Il decreto approvato ieri però non prevede particolari contro-misure per proteggere eventuali alunni immunocompromessi, per i quali il virus rappresenta un serio rischio. Solo un vaccino per la fascia dei più piccoli (dai sei mesi) potrebbe garantire una protezione più larga, spiega Marco Falcone, infettivologo all’università di Pisa e segretario Simit. «Sarebbe importantissimo averlo per quella fascia, soprattutto – sottolinea Falcone – per i bimbi affetti da patologie genetiche, patologie acquisite, immunodepressioni e condizioni di immunodeficienza per i quali l’infezione può essere più pericolosa». Proprio martedì la Pfizer ha chiesto l’autorizzazione anche per questa fascia di età all’agenzia statunitense Fda.