Come quando i governi tramontano. Il vertice di maggioranza sul programma che rapidamente sterza sulle formule politiche e fallisce. I partiti che allora chiedono al capo della coalizione di intervenire per «chiarire natura, perimetro e proiezione temporale della coalizione», un classico delle crisi ancien régime. E il leader, che è un presidente del Consiglio ancora solo incaricato, che si ritrae. Perché questa è appena l’alba di un esecutivo che tenta la magia di innovare con l’appoggio della vecchia maggioranza. E che dovrebbe lanciare la carriera del segretario del Pd grazie al contributo determinate del vecchio Berlusconi. La maionese impazzisce. L’uomo che ha il compito di moderare l’irruente Renzi, il tranquillo Delrio, perde la calma si alza e lascia il tavolo della coalizione. Gli ingredienti per il fallimento ci sono tutti. Sarà un successo.

Renzi ha dovuto ingoiare il vertice di maggioranza preventivo. Ma non ci va, scaricandone il peso sul braccio destro. «Sono allergico», ha detto, ma intanto lo subisce. Si presentano in venti per nove partiti, c’è un po’ di tutto, anche il manager ex Telecom Vito Gamberale nella delegazione dei socialisti. Si tratta dell’amministratore delegato del fondo di investimento F2i, quello che è in trattativa con il gruppo l’Espresso-Rete A per la nascita del nuovo operatore delle frequenze digitali tv. L’asta è un affare in corso, scavalla dal governo Letta a quello nascente di Renzi. E quella di Gamberale – che in portafoglio ha anche quote Enel e Sea – è una presenza al primo vertice di maggioranza che certo non contribuisce ad allontanare l’ombra di Carlo De Benedetti dal tentativo di Renzi.
Nella sede dove Delrio è ancora ministro, la fila dei partiti riporta a galla il ricordo dei super vertici dell’Unione prodiana che fu. Memoria di piombo nelle ali di Renzi. Si dovrebbe parlare di contributi al programma, ma Delrio spiega che il programma è già scritto. Non può essere consegnato alle delegazioni perché «Matteo non lo ha ancora vidimato». Devono approvare senza leggere, allora, e così non c’è il rischio che il testo finisca ai giornalisti. Partono le opinioni in libertà. Che siano quasi tutte diverse non spaventa nessuno. Sono le larghe intese. Non sarà per qualche divergenza sui diritti civili che il governo si bloccherà. E nemmeno per le idee diverse in fatto di mercato del lavoro. Il problema sono le larghe sottintese tra Renzi e Berlusconi. Quello che si sono detti nel corso della consultazione più lunga, e quello che il leader di Forza Italia ha fatto intendere di avergli detto, nel pubblicizzato colloquio riservato.

I berlusconiani non migliorano le cose mettendo in circolo una previsione del Cavaliere, che sarebbe stata fatta ai suoi parlamentari: entro un anno si va a votare. È il fantasma della maggioranza nascosta, quella che può servire per approvare la legge elettorale ammazza piccoli partiti, e poi correre al voto se non in autunno nella prossima primavera. Il fantasma che terrorizza Alfano, la maggioranza palese. Da qui la richiesta, condivisa dagli altri centristi, di un chiarimento sul «perimetro» della coalizione. Se Berlusconi è fuori, fuori deve stare. L’esecutivo non è ancora nato e già serve un chiarimento. La strada è sempre quella dell’emendamento Lauricella all’Italicum: legare la riforma elettorale all’approvazione – campa cavallo – della riforma del senato. Mossa tattica che ha anche un senso logico, altrimenti si dovrebbero prevedere in astratto due ballottaggi, uno per ogni ramo del parlamento.

Renzi non vuole mettere nulla nero su bianco. Considera di aver già detto tutto, parlando di riforma del bicameralismo assieme alla nuova legge elettorale. Rassicurazioni verbali quante ne si vuole; al telefono non si nega ad Alfano. Ma non lo incontra fino a tarda sera. Paradossale che l’esecutivo eventuale litighi su una materia di stretta competenza del parlamento che c’è. Ma le tensioni abbondano, sono anche sui ministri. Le posizioni vengono presentate come inconciliabili; entro sabato dovranno conciliarsi.
Deciderà Renzi alla fine, consapevole com’è che Alfano non ha un piano alternativo all’alleanza con il Pd. Tira una corda che non può spezzare. È per questo che di fronte alle richieste Delrio si alza e se ne va, prendendo a pretesto il tweet dell’alfaniano Sacconi dal tavolo delle trattative: «Ci sono molte criticità nel programma di governo». Il Pd non concederà un bis, a meno che non decida di impantanarsi per un’altra settimana. Non può: l’appuntamento di Renzi con il Colle e con la storia è domani. Intanto ha visto Montezemolo. E ha previsto: «Poche ore e chiudiamo».