È un coro di sì ad accogliere la decisione del governo italiano di richiamare l’ambasciatore al Cairo Maurizio Massari «per consultazioni», come recita la formula di rito. Il ministro degli esteri Gentiloni è a Tokyo per partecipare al G7, ma per tutta la giornata mantiene il filo diretto con i magistrati italiani impegnati nel duro confronto con i colleghi egiziani. L’annuncio del «richiamo» avviene infatti appena il procuratore Pignatone comunica il «fallimento» dell’incontro. Un minuto dopo twitta anche il premier Renzi, che in quel momento è ancora dentro il consiglio dei ministri. Poi, finita la riunione, aggiunge: «L’Italia ha preso un impegno con la famiglia Regeni, con la memoria di Giulio ma anche con la dignità con ciascuno di noi che ci saremmo fermati solo davanti alla verità». La famiglia Regeni apprezza: «Siamo certi che le nostre istituzioni e tutti coloro che stanno combattendo al nostro fianco questa battaglia di giustizia, non si fermeranno fino a quando non otterranno verità». Il consenso della politica è davvero bipartisan, ed è la prima volta dall’inizio di questa legislatura, da sinistra fino alla Lega. La presidente Laura Boldrini approva («Sull’omicidio Regeni no a opportunismi e compromessi»), il presidente della commissione esteri del Senato Casini parla di una scelta «di alto valore simbolico» che dimostra che l’Italia difende con forza il suo decoro e la dignità nazionale», il ministro Alfano di «atto opportuno», la vicesegretaria del Pd Serracchiani di «atto doveroso».

Fin qui il copione è lo stesso un po’ per tutti. Ma adesso il punto è capire come prosegue la delicatissima partita che Roma deve giocare con Il Cairo. La scelta di richiamare l’ambasciatore era, se non annunciata, comunque messa in conto in caso di fallimento del confronto fra inquirenti. Lo scorso 5 aprile davanti entrambe le camere Gentiloni aveva parlato, in caso di «mancato cambio di marcia» da parte delle autorità egiziane, della necessità «misure immediate» e «proporzionate». Il primo passo, quello «immediato», spiega oggi la Farnesina, è il richiamo dell’ambasciatore, che pure le forze politiche avevano chiesto da giorni. Ma il governo voleva e doveva aspettare l’esito dell’incontro di ieri, anche per rispettare al lavoro della procura di Roma, che comunque non si ferma.
L’ambasciatore Massari tornerà in Italia nelle prossime ore. Non vedrà Gentiloni prima di lunedì sera, quand’è previsto il suo ritorno dal Giappone. I due sono in contatto continuo. Ma quale sarà la prossima «misura proporzionata» per ottenere la verità sulla morte di Regeni? «C’è da rimettere in discussione gli accordi anche commerciali con quel Paese di fronte a una presa in giro così palese che ridicolizza le autorità italiane», ragiona Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Il caso Regeni non è isolato, spiega, per questo «l’Italia deve porre il caso Egitto davanti alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite prima che si crei una nuova sorta di zona di impunità nel mondo». Anche per Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) «le nostre relazioni con l’Egitto non possono non essere riviste in modo profondo».

C’è chi pensa a reazioni per così dire robuste, come il leghista Calderoli che propone di trattenere la delegazione egiziana come fece l’India nel 2013 quando dall’Italia filtrò l’idea di non rimandare indietro i due marò. In realtà i passi che la diplomazia italiana ha a disposizione sono molti: il ritiro dell’ambasciatore e la rottura dei rapporti diplomatici; lo «sconsiglio» formale della Farnesina che dichiara l’Egitto «paese non sicuro» per il turismo; il rientro dei ricercatori presenti in Egitto e il divieto di nuovi arrivi; il divieto di viaggio in Italia a personalità politiche egiziane, lo stop ai vertici intergovernativi fra governi, su su fino all’invocato (da sinistra e 5 stelle) blocco di tutti gli accordi commerciali tra Italia e Egitto, un pacchetto che pesa 5 miliardi: dal giacimento di gas di Zohr all’edilizia e l’energia della zona di Suez. Tutte azioni che possono spingere l’Egitto al «serio ripensamento» del proprio offensivo atteggiamento sul caso Regeni. Ma solo a patto che il golpista Al Sisi si convinca che l’«amico Renzi» ha la forza di praticarle.