Domani la presidente Von der Leyen presenterà al parlamento europeo la proposta della commissione con cui far fronte alla crisi sociale lasciata dall’epidemia. É noto di cosa si discute e anche i punti su cui i 27 paesi membri si dividono, ma vedo soprattutto qui in Italia una sottovalutazione dell’importanza delle decisioni che alla fine l’Europa prenderà. Forse sbaglio, ma ho la sensazione che ai solenni proclami con cui ogni giorno affermiamo che  l’unica risposta credibile alla crisi non può che essere europea, non seguano decisioni conseguenti. Prevale una certa rassegnazione o meglio una predisposizione al peggio. Ovviamente questa sensazione è riferita alla grande maggioranza della  sinistra, non solo politica, ma soprattutto sociale ,che mi appare la parte che più rispetta silenziosa la quarantena.

La destra, soprattutto quella italiana, è ben felice che il progetto europeo fallisca, pronta a cavalcare il  disperato moto di rabbia sociale che quel fallimento provocherebbe, soprattutto nel sud europeo. Per ora a sinistra prevale un dibattito confuso se usare o no il Mes, accompagnato da una evidente rassegnazione sull’esito negativo dello scontro che si sta consumando in Europa. Poco entusiasmo ha suscitato l’alleanza che si è creata fra i tre governi di Italia, Spagna e Portogallo, che, uniti, hanno chiesto decisioni in totale controtendenza con le scelte che prevalsero nella crisi finanziaria del 2008. Questa volta i tre paesi hanno detto insieme ciò che da sola disse allora la Grecia e cioè che non servono prestiti condizionati a tagli delle pensioni e delle prestazioni fondamentali dello stato sociale, ma uno sforzo comune dell’intera Europa, indirizzando le enormi risorse verso l’avvio della transizione ecologica.

Costruire questo futuro, pensando però di non lasciare indietro nessuno e quindi assistendo chi ha perso il lavoro, in particolare il diffuso precariato e lavoro nero o chi già non l’aveva. Né mi pare sia stato dato  il necessario sostegno ai parziali, ma innegabili successi, che questa alleanza ha prodotto, prima conquistando almeno in parte la Francia e altri otto paesi, poi contribuendo alla definizione delle prime misure in controtendenza con le vecchie politiche liberiste, come la sospensione del patto di stabilità e la ridefinizione del Mes.

Infine la cosa più significativa, e anche più sottovalutata: lo spostamento della Germania verso le posizioni di Italia, Spagna e Portogallo, che l’hanno spinta a sottoscrivere un accordo con la Francia con cui si chiede di mobilitare 500 miliardi a carico del bilancio europeo, che gli stati non dovranno restituire. Una svolta enorme, che di fatto butta all’aria uno dei cardini del tremendo trattato di Maastricht. La proposta franco tedesca pare alla base del progetto che la commissione presenterà domani al parlamento europeo, estendendo le risorse a 1500 miliardi. Aperta e ancora tutta da giocare è la partita sulle condizioni che verranno poste.

L’impressione è che non ci sia alcuna voglia di essere parte e di incidere su questo scontro, soprattutto da parte di sindacati, associazionismo ambientalista, volontariato, movimenti sociali, in una parola della sinistra sociale. In questi giorni più che parlare dei varchi che si sono aperti e cercare di premere per allargarli ulteriormente si è preferito concentrarsi sulla reazione furiosa che ha suscitato la proposta franco tedesca nei paesi nord europei, Olanda, Austria, Svezia e Danimarca o ha suscitato più dibattito la decisione della corte di giustizia tedesca, contro l’Europa e la Bce, che la svolta compiuta dalla Merkel.  Insomma ci si è concentrati più su ciò che può indubbiamente chiudere i varchi aperti che su cosa fare per allargarli. Penso che fare gli spettatori di questo scontro che si sta consumando in Europa o limitarsi a delegarne la gestione ai governi sia un errore che aiuta solo chi vuole rimanere all’Europa liberista di sempre, affondando quello che resta del progetto europeo.

Se questo avvenisse penso esporrebbe il paese al declino e la sinistra a una sconfitta pesante e di lungo periodo. Se non matura una svolta e un rilancio del progetto europeo non vedo possibile né dare continuità allo scudo di protezione sociale che i governi italiano, spagnolo e portoghese hanno messo in moto, né credo sussistano le condizioni per rilanciare lo stato sociale e tantomeno è credibile mettere in moto la transizione ecologica, di cui tutti parlano, molte volte a sproposito.

Se poi proviamo a misurare gli effetti che potrebbe avere sull’Italia una decisione europea di richiudere i varchi aperti forse si illudono quanti pensano che a prevalere sarà l’inedita maggioranza che sostiene Conte, con le cose buone e le numerose cose cattive del decreto da oltre 50 miliardi appena varato. Tantomeno penso sia credibile una lotta per porre un freno allo sblocca cantieri, quasi tutti inutili e dannosi, con cui la retorica di Renzi ha ipotecato il governo. Servirà solo ad aprire un’autostrada, alle peggiori destre e al disegno autoritario che perseguono.