Negli anni Settanta i movimenti alternativi e poi i radicali e poi i gruppi della sinistra extraparlamentare, proposero attivamente una serie di legalizzazioni. Proposte che continuarono anche dopo l’ approvazione di una legge che sostanzialmente depenalizzava il consumo. Ma si capì subito che non bastava: l’economia, il mercato nero favorivano una diffusione devastante dell’eroina e un’iniezione strepitosa di liquidità nelle casse della mafia, che fondò su questo il suo strapotere negli anni Ottanta. La somministrazione di eroina legale da parte di istituzioni sanitarie, era l’unica soluzione possibile. La sinistra si spaccò. Da destra, qualcosa: il ministro della sanità, il liberale Renato Altissimo si schierò a favore.

Venti anni dopo, il primo governo rossoverde in Germania: il modello di eroina legalizzata per i tossici che non sono riusciti a liberarsi dagli aspetti più drammatici della dipendenza, passa in 14 città chiave. Quando tornano al potere, i democristiani di Angela Merkel hanno il coraggio di non toccare un sistema che ha già dato ottimi risultati.

Negli Stati Uniti, quando si capisce che Washington è troppo debole per imporre uno schema antiproibizionista (il presidente Carter ci aveva provato, ma potentissime agenzie come la Dea lottano come furie), i movimenti e le associazioni decidono di mettere in atto strategie che bypassano il parlamento e si rivolgono direttamente ai cittadini e alla Corte Suprema. È una tecnica che dà i suoi frutti alla fine degli anni Novanta e all’inizio dei Duemila. I referendum negli Usa possono essere indetti in ciascuno dei cinquanta e passa stati e possono essere propositivi, su qualunque cosa, nozze gay, eutanasia. Chi vince vince. Passa la sua legge. La legalizzazione dell’aborto è stata introdotta così.

In questa partita, c’è un convitato di pietra : la criminalità che guadagna mille miliardi di euro all’anno (metà del Pil italiano) sul business della marijuana proibita, della cocaina, dell’eroina. In Colombia, il maggior produttore di coca del Sudamerica, i trafficanti hanno corrotto governi per evitare qualsiasi iniziativa antiproibizionista che significherebbe la morte per loro. In Italia, la patria europea delle narcomafie, con la ’ndrangheta che si spinge in Lombardia e in Germania, le narcolobbie agiscono nell’ombra. In Messico, non sono bastati sessantamila morti nelle guerre di droga a convincere un governo in carica a fare qualcosa. Ma hanno convinto ex presidenti di Centro e Sudamerica a dare vita al più grosso fenomeno di politica della droga degli ultimi dieci anni: un’operazione di grande chiarezza a favore delle legalizzazioni che ha portato eminenti personalità ad aderire alla Global Commission, insieme a Kofi Annan, già segretario nazionale delle Nazioni Unite.

In questo nuovo contesto, in un piccolo stato, l’Uruguay nasce un governo finalmente svincolato da lobby varie, sostenuto da scienziati, università e opinione pubblica, e in un anno raggiunge un risultato sensazionale: è il primo stato nazionale in tutto il mondo a decidere una vera legalizzazione della marijuana: produzione, coltivazione, vendita e consumo. Un’agenzia dell’Onu, l’International Narcotic Control Board (Incb), diretta da un rappresentante della Russia, ha provato a opporsi, ma senza successo. Per mezzo secolo, tutti i proibizionisti hanno strillato che queste cose non si possono fare, che ci sono i trattati dell’Onu, etc etc. L’Olanda è stata periodicamente rimbrottata per la sua politica trentennale della cannabis libera nei coffee shop, ma non ha ricevuto dalle Nazioni Unite neanche una multa da mille euro. Dunque l’Onu su queste questioni è in parte una tigre di carta.

L’Uruguay apre una breccia nel muro del proibizionismo, anche perché introduce un elemento di tassazione: una parte degli incassi andranno alle casse dello stato. Meno soldi in repressione fittizia e inutile, e più soldi per tutti. Su questa via si muove ora, il gruppo parlamentare del Partido de la Revolución Democratica, in maggioranza nell’assemblea del distretto federale di Città del Messico. L’Organizzazione degli Stati Americani (Oea) che raggruppa tutti i paesi del continente tranne Cuba, ha pubblicato un rapporto che invita a studiare una eventuale legalizzazione della cannabis per tagliare l’erba sotto i piedi dei criminali.

Negli Usa, tra pochissimo in Oregon e in Alaska si terranno nuovi referendum simili a quello del Colorado: non sono Stati-chiave ma la prospettiva è che si innesti un meccanismo a catena con molti altri stati pronti a scendere in campo sull’onda dei successi ottenuti e delle buone previsioni nei sondaggi. L’Europa è un po’ ferma, ma non tocca la riduzione del danno, Svizzera in testa, che conferma anche con referendum, la somministrazione di eroina controllata. In Italia tutto sembra bloccato al 2006, quando passò la legge Fini-Giovanardi, che ha messo nei guai settecentomila consumatori. In realtà, anche attraverso l’opera del Comitato Scientifico Libertà e Droga, molti parlamentari (Giuliano Pisapia, Luana Zanella, Katia Zanotti, Massimo Villone,…) nei primi mesi del 2006 avevano messo in luce l’incostituzionalità del decreto legge antidroga del governo, il lavoro è proseguito negli studi degli avvocati, nei convegni e nelle aule di tribunale. Così, nel 2013 ben quattro corti fra cui la Cassazione, hanno rimandato ai giudici della Consulta l’ignobile parto di Fini&co. A febbraio la camera di consiglio e forse la decisione. Oggi una manifestazione nazionale a Roma organizzata dai militanti della Million Marijuana March, in coordinamento con tantissime associazioni e centri sociali a sostegno delle tesi sull’anticostituzionalità.