«Rischio ragionato»: Draghi lo definisce così. Non nega che il rischio ci sia, perché la road map che esce dalla lunga riunione della cabina di regia è molto diversa da quella prudente che aveva in mente ancora ieri mattina il ministro della Salute: partiva dal 3 maggio con le sole scuole e poi proseguiva centellinando le riaperture di settimana in settimana. Tutto anticipato nel nuovo testo che non sarà una delibera ma un decreto. Il 26 riaprono, salvo che nelle zone rosse, scuole, ristoranti all’aperto, cinema e teatri all’aperto e, con limiti di capienza, anche al chiuso. Le piscine all’aperto dovranno aspettare il 15 maggio, le palestre il primo giugno, le fiere il primo luglio. Riprende anche la mobilità ma con il pass vaccinale.

A TEMPERARE IL RISCHIO saranno soprattutto la vaccinazione, che il governo ritiene sia a un passo dalla drastica accelerazione, e la stagione, che permette di restare all’aperto. Ma saranno anche i controlli che, almeno nei piani del governo, dovranno essere intensificati perché, come sottolinea il premier, «la decisione si fonda sull’idea che le regole di comportamento siano rispettate» e perché, come duetta Speranza seduto al suo fianco, «con le riaperture il comportamento deve essere più e non meno prudente».

SALVINI GIUBILA. In una conferenza stampa volante organizzata a Milano in anticipo su quella di Draghi si lascia scappare un trionfale: «Intanto portiamo a casa le riaperture». Poi prova a correggersi: «Volevo dire che il Paese porta a casa». Gaffe a parte, il leghista un punto tondo lo ha segnato davvero, anche se non ha ottenuto tutto quel che voleva. Nella cabina di regia un Giorgetti molto più esagitato del solito aveva insistito ad alta voce non solo per le riaperture, chiedendo il 20 aprile per strappare il 26, ma anche per l’agibilità dei ristoranti al chiuso e per lo slittamento del coprifuoco. Il limite d’orario resta invece fissato per ora alle 22, poi si vedrà di settimana in settimana. Il progetto del governo è posticipare fino a che la vaccinazione non garantirà lo scudo alle fasce d’età a rischio. Ragionamento simile dovrebbe valere anche per i ristoranti al chiuso, che non potranno restare penalizzati a lungo.

All’intemerata di Giorgetti si è subito accodata la ministra azzurra Gelmini, poi la renziana Bonetti. La resistenza del Pd è stata quasi inesistente: il ritorno alla vita di cinema e teatri era obiettivo anche di Franceschini. Persino i due “draghiani doc”, Garofoli e Chieppa, si sono pronunciati per il ritorno alle zone gialle entro aprile, lasciando così isolati Speranza e il 5S Patuanelli, sulla linea più prudente.

La Lega esce dunque bene dal lungo braccio di ferro sulle riaperture. Del tutto fallito, invece, l’assedio a Speranza. Il ministro della Salute è ormai ufficialmente intoccabile. Non solo Draghi lo vuole in conferenza stampa e gli cede la parola ogni volta che si parla di pandemia, ma trova modo di ringraziarlo «per il lavoro svolto nelle scorse settimane, che ha permesso le riaperture». Poi, a domanda precisa, è anche più tagliente: «Le critiche dovevano trovare pace sin dall’inizio. Non erano né fondate né giustificate». Capitolo chiuso.

ANCORA DA APRIRE invece quello sul prossimo decreto, finanziato dallo scostamento di 40 mld che verrà approvato dal Parlamento il 22 aprile. Ci sarà il sostegno alle spese fisse e agli affitti, invocato da tutti, e i criteri di rimborso cambieranno. Al fatturato si aggiungerà l’imponibile fiscale, anche se i fondi misurati su quest’ultimo parametro non arriveranno subito ma «entro 3 o 4 settimane: non si può avere tutto».

Le dimensioni del debito, che con questi nuovi 40 mld lievita ulteriormente, non preoccupano Mario Draghi. Sarebbero state disastrose in un mondo che non c’è più, quello di prima della pandemia. Ma quella realtà, fa capire e a tratti dice esplicitamente l’ex presidente della Bce, è stata uccisa dal virus. Con gli interessi precipitati un problema come quello della sostenibilità del debito, che due anni fa sarebbe stato un nodo scorsoio, semplicemente non si pone più e non si porrà per parecchio tempo. Quindi «non è più questione se fare o no debito. Lo abbiamo fatto e lo faremo, ma va investito bene». Questa è la sfida che il premier vuole affrontare, quella che sin da quando è entrato a palazzo Chigi lo coinvolge di più. Ma prima bisogna imboccare davvero l’uscita dal tunnel della pandemia. Con un mese e mezzo di fronte per vedere come va a finire la scommessa fatta ieri. Il «rischio ragionato».