Da giugno, le strade di Rio de Janeiro e di diversi stati del Brasile hanno cominciato ad essere occupate da grandi manifestazioni. All’inizio l’obiettivo era il blocco dell’aumento dei biglietti dei mezzi di trasporto. Varie città del paese stavano subendo una nuova azione dello Stato e dei padroni delle imprese dei mezzi di trasporto, che aveva l’obiettivo di aumentare il prezzo dei biglietti senza offrire in cambio nessun miglioramento del servizio. Al contrario: biglietti più cari, bigliettai disoccupati; mentre gli autisti, oltre a guidare, devono riscuotere il prezzo dei biglietti.
Ma l’obiettivo delle manifestazioni è ben presto andato oltre il problema dei biglietti. «Non sono solo per i 20 centesimi» (le manifestazioni), questa idea ha cominciato a diffondersi. Vari movimenti sociali hanno iniziato, quindi, a inserire nei loro striscioni, negli slogan e negli interventi dai camion – da cui gli attivisti parlavano – altre richieste della popolazione. E, oggi, anche altre bandiere sono sventolate dalle moltitudini che ancora occupano le strade del centro di Rio: c’è il tema della sicurezza pubblica, per esempio, che automaticamente coinvolge le Unità di polizia pacificatrice (Upp), oltre a quello della demilitarizzazione della polizia; quello degli sgomberi; del diritto alla città, all’educazione, alla sanità; la libertà sessuale e il sistema penitenziario.
Sono obiettivi che hanno a che vedere con il momento attuale che vive questo luogo – Rio – conosciuto come «città meravigliosa».
Rio è la città che è stata scelta per ricevere i Megaeventi che ci saranno nel 2014 e nel 2016. E perché sia pronta per la Coppa del Mondo e per le Olimpiadi, i governanti stanno cambiando le strutture fisiche di questo territorio. Ma il territorio scelto per essere, ancora una volta, stravolto è un luogo abitato da una popolazione povera, nera, favelada.
Esempio di questo è che, nella stessa settimana in cui Rio è stata scelta come sede dei Megaeventi, l’attuale sindaco, Eduardo Paes, ha annunciato che 119 favelas, per un totale di più di 100.000 persone, sarebbero state sgomberate. Si tratta di favela localizzate principalmente nella Zona Ovest e nella Zona Nord di Rio. Delle favela designate, cinque sono già state completamente cancellate dalla mappa della città.
In un lavoro recente, fatto dalla organizzazione internazionale Witness e da un gruppo di giornalisti e militanti dei diritti umani del Brasile, frutto di una ricerca durata più di un anno (arricchita da oltre 100 video) è stato denunciato che, nelle favela minacciate di sgomberi, il 44% degli abitanti non ha nessun tipo di informazioni su questo problema e il 31% sta subendo – prima dello sgombero – proposte molto sfavorevoli di reinsediamento. Ossia le famiglie non sono correttamente avvertite di quel che sta per succedere, quindi gli abitanti non hanno la possibilità di tentare nessuna forma di resistenza o di organizzarsi per provare a negoziare con le autorità comunali.
Un altro modo di negare e eliminare i poveri è l’invasione delle Unità della polizia pacificatrice nelle favela di Rio. Si tratta di un’ altra forma di “protezione” dei Megaeventi. Il modello di città che c’è dietro è quello per cui è importante proteggere le strade e i turisti che arrivano per i giochi. È un tipo di politica fatta dall’alto. Un’altra forma di azione brutale che mostra bene il razzismo dello Stato che considera la favela marginale, criminale e violenta.
Alla Rocinha, è scomparso un manovale, Amarildo. Si tratta di un caso la cui eco si è diffusa nel mondo. Lì, come nelle 18 favelas che sono oggi occupate dalle UPP, sono in realtà spariti molti altri lavoratori. «Tra il 2007 e il 2012, sono stati registrati 553 casi di scomparsa nelle 18 prime comunità. Le relazioni dell’Isp (Istituto di sicurezza pubblica) indicano un aumento annuale progressivo fino al 2010, quando l’indicatore ha raggiunto il suo apice: 119 casi». (ISP agosto 2013).
Oltre alla presenza dei militari, le favelas che sono invase dalle Upp vedono il loro territorio “valorizzato”. Vengono portate luce acqua e quindi tasse. Ma non c’è nessuna possibilità di lavoro, abitazione decente o altro diritto; gli abitanti subiscono l’aumento di ogni pezzetto del loro territorio e sono costretti ad andare via dalle loro abitazioni e occupare altri spazi meno cari della città. Questa operazione è conosciuta come “Sgombero Bianco”. La maggior parte delle favelas che ricevono le Upp sono nelle aree nobili di Rio, o in punti strategici della città, come nel caso degli Agglomerati di Favelas della Maré e dell’Alemão, entrambi prossimi all’aeroporto internazionale e alle vie veloci che lo collegano al centro della città.
Gli abitanti dell’Agglomerato di Favelas della Maré, con circa 130 mila abitanti e con più di 16 favelas (si trovano nella zona Nord di Rio) continuano a subire questa politica pacificatrice.
In giugno, così come migliaia di altri gruppi e movimenti, gli abitanti della Maré hanno occupato l’Avenida Brasil, protestando soprattutto contro l’azione violenta quotidiana della polizia nelle favelas, giacchè abbiamo subito costanti invasioni negli ultimi mesi. Ma, così come sempre succede nei luoghi più poveri della città, lo Stato oppressore ha mandato le proprie forze armate rappresentate dalla Polizia Militare e dal Bope, a fermare quella manifestazione.
In quella serata, le forze armate sono arrivate e hanno sparato su quei manifestanti della Marè, nel tentativo di mettere fine al corteo. Ed è finita in una strage. 13 persone sono state brutalmente assassinate, non tutti durante la manifestazione ma anche durante la notte. Una prova ulteriore che non viviamo in un paese democratico.
I proiettili di gomma sparati dai poliziotti, che oggi colpiscono i manifestanti, per quanto brutali e violenti, sono comunque diversi dai colpi che arrivano nelle strade e nei vicoli delle favela carioca. E questo non succede per caso, poiché arrivano soprattutto nelle favela dove c’è una maggioranza di neri, quelli che storicamente soffrono maggiormente l’oppressione e l’evidente razzismo di uno stato e di una società che si dichiarano sempre – a parole –non razzisti.
Secondo il rapporto dell’Ipea (Instituto de ricerca economica applicata), divulgato nello scorso ottobre, la possibilità di un adolescente nero di essere vittima di omicidio è 3,7 volte maggiore di quella di un ragazzo bianco. Secondo l’Ipea «il razzismo è istituzionale in Brasile, e si esprime principalmente attraverso le azioni della polizia».
L’attuale governatore di Rio de Janeiro, Sergio Cabral, ha già dimostrato che questa è una questione di classe e il razzismo è istituzionale. In un’intervista ai giornali del 2007, nel sostenere l’aborto, egli afferma che «la donna della favela è una fabbrica che produce marginali», per questo lui è a favore dell’aborto.
Storicamente anche i media si comportano in modo razzista nei confronti della favela e approvano e mettono in copertina solo azioni che si riferiscono alla sicurezza pubblica. Negli ultimi mesi, dall’inizio delle manifestazioni, non sono solo le favela e i movimenti sociali ad essere criminalizzati, ma tutti quelli che hanno tentato di andare nelle strade per rivendicare i propri diritti. Gli stessi professori delle reti pubbliche comunale e statale, in sciopero per più di due mesi a Rio, sono stati trattati come vandali che bloccavano il traffico della città.
I diritti, le bandiere e le richieste dei professori non erano raccolti dai grandi giornali commerciali di Rio. Solo dai media popolari e comunitari. Le parole vandalo, violento, criminale sono diventate di moda per questi giornali commerciali. Tutti i giorni comparivano articoli a favore di una polizia che criminalizza sempre di più i movimenti che tentano di protestare o già si mobilitano per le strade.
I media popolari e comunitari che avevano già un ruolo importante, hanno dovuto lavorare ancora di più per far venire alla luce le rivendicazioni di questo popolo oppresso che sta nelle strade. Oltre ai video e ai messaggi inseriti nei media sociali, cose che hanno aiutato, conferenze, laboratori e corsi vengono fatti dai comunicatori popolari e comunitari di Rio, per mostrare una altro aspetto della notizia, un altro punto di vista che non sia quello dei governanti.
Parlando di questo, viene fuori chiaramente che un altro obiettivo contro cui lottare è quello del monopolio dei media. I movimenti sociali hanno assunto questa bandiera come propria e hanno cominciato a sostenere anche il diritto alla comunicazione. Quindi questa rivendicazione non appartiene più soltanto a chi fa o faceva comunicazione alternativa.
Come povera, nera e favelada, so che questo è un momento importante in cui discutere dell’attuale politica del nostro paese. Il momento di portare le rivendicazioni delle favela al di là dei muri invisibili che ci circondano. Di valorizzare la cultura popolare e parlare della vita diversa che conduciamo all’interno dei nostri luoghi di abitazione. Di mostrare a tutti e tutte che non siamo criminali, ma criminalizzati, non siamo violenti ma violentati e non siamo marginali, ma marginalizzati ogni giorno perché la favela è parte della città.
Sono rivendicazioni che prima erano solo della favela e ora occupano le strade del centro di Rio. Oltre a ciò, quel che abbiamo ottenuto di positivo da questa mobilitazione cominciata in giugno è stata la ricerca di una unità tra i movimenti delle favela. Molti faveladi stanno cercando di avvicinarsi sempre più gli uni agli altri sapendo che andiamo verso un peggioramento della situazione, perché la repressione cresce di giorno in giorno per le strade quando si tenta di fare qualche manifestazione, ma nella favela è tutto più vigliacco, la repressione qualche volta apparentemente si ferma.
Il prossimo anno iniziano i Megaeventi è certo che lo stato non vuole che i turisti rinuncino a venire nella città sapendo che i “vandali” – così come i governanti e i media ci chiamano – stanno occupando con le loro bandiere le strade della città meravigliosa.
(giornalista del Jornal O Cidadão, Rio de Janeiro).