Tradizione vuole che dopo molti anni di rapporti travagliati nella band, il cantante/chitarrista – sovente l’ego più grosso – lasci per iniziare un’ambiziosa carriera solista. È quello che è successo ieri sera a mezzanotte, ora di Bruxelles: come John Frusciante dai Red Hot Chili Peppers, la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea. Dopo quarantasette anni di dischi e tour assieme è la cerimonia degli addii. Mentre l’Union Jack veniva ammainato a Bruxelles (e messo, non senza ironia involontaria – in un museo), mezzo paese festeggiava tracannando bollicine autarchiche. Alcuni – non folle oceaniche – si sono ritrovati a Parliament Square, dove volantini con l’effigie dell’odiato blocco sono stati dati educatamente alle fiamme.

Finalmente la lezione ai “burocrati” di Bruxelles è stata data: questo non è un paese che torna indietro su decisioni fondamentali, quali che siano le pressioni esterne. Peccato che abbia zittito nel risentimento quelle interne, la buona altra metà di sé. Che ha pianto le sue tiepide lacrime in varie veglie di cordoglio organizzate ovunque per segnare l’epocale passaggio. Alcuni hanno sfilato a Whitehall, qualcuno si è anche vestito di nero. Ora dovrebbe partire un processo di riconciliazione che non trova facili premesse: se alcuni ultrà euroscettici vorrebbero rendere illegale l’esibizione della bandiera dell’Unione in luoghi pubblici, il lutto indossato da certi remainer è un insulto alla volontà democratica del corpo sociale che così si è espresso di cui essi stessi fanno parte.

Scarso il cerimoniale pubblico.

Sinistre le file di bandiere nelle vie più istituzionali, come il Mall, e davanti ai palazzi del potere. Un’ora prima della mezzanotte, cioè alle dieci ora locale, Johnson ha teletrasmesso un messaggio in cui ha definito questa “la nuova alba” del paese: «Si alza il sipario su un nuovo giorno».

Ieri era con tutto il governo a Sunderland, città operaia del nord e la prima a pronunciarsi a favore di Brexit. Chissà se ci aveva mai messo piede prima. È convinto di essere in grado di stipulare l’80% del commercio con l’estero coperto con trattati di libero scambio entro tre anni. Ma è evidente che si è rotto qualcosa nella psiche collettiva, qui e in Europa. Il clima dei negoziati finirà per tendersi e incupirsi, i contenziosi, ora che comincia la fase davvero più delicata delle trattative, non si contano: Irlanda del Nord, quote di pescato, immigrazione, perfino quel sasso di Gibraltar.

«Dobbiamo mantenere un buon rapporto commerciale con l’Europa per evitare di cadere dentro accordi di libero scambio con gli Stati Uniti», ha detto Jeremy Corbyn. Il paese deve essere «internazionalista e lungimirante», ha aggiunto. Mentre David Cameron, l’apprendista premier che ha scoperchiato per primo il vaso di Pandora del nazionalsovranismo, ha avuto perfino il coraggio di farsi intervistare dalla Bbc, forte delle 800mila sterline incassate per la sua versione dei fatti contenuta nella recente autobiografia. «Oggi è un grande giorno per il nostro paese», ha detto, con lo sguardo fisso al suolo e la smorfia di un condannato a morte.