Come ormai è diventato usuale in Italia, una sentenza ha anticipato la fruibilità di un diritto che la politica non riesce ancora a garantire. Il Tribunale per i minorenni di Roma ha riconosciuto ad una coppia di donne lesbiche l’adozione di una bimba, figlia biologica di una delle due mamme, che prenderà ora il cognome di entrambe. L’omogenitorialità è «una genitorialità “diversa” ma parimenti sana e meritevole di essere riconosciuta in quanto tale», ha scritto il collegio giudicante presieduto dalla giudice Carmela Cavallo nella sentenza emessa il 30 giugno scorso che già viene giudicata «storica». Sollevando, naturalmente, lo “scandalo” dei bigotti nostrani – al di qua e al di là del Tevere – ma anche la soddisfazione delle associazioni per la tutela dei diritti degli omosessuali.

L’inserimento anche nel nostro ordinamento della stepchild adoption – si chiama così nei Paesi anglosassoni dove è da tempo un diritto riconosciuto alle coppie gay – è prevista nel progetto di legge sulle unioni civili che segue il modello tedesco delle civil partnership e che Renzi ha aveva promesso di portare in Parlamento a settembre, «dopo la riforma della legge elettorale».

La bimba “adottata” ha cinque anni ed è figlia dell’amore tra le due donne che convivono da un decennio. Nel loro Paese non hanno potuto fare altro che iscriversi al Registro delle unioni civili di Roma mentre per sposarsi sono dovute andare in Spagna, Paese che accoglie ogni anno migliaia di italiani alla ricerca di uno dei tanti diritti negati in patria. È lì, nella Penisola iberica, che hanno anche potuto realizzare il loro sogno di condividere un progetto di genitorialità, sottoponendosi alla fecondazione eterologa.

Le due donne, psicoterapeuta l’una e agente di commercio l’altra, sono state seguite per mesi dagli psicologi e dagli assistenti sociali del «Gruppo integrato di lavoro Adozioni», i quali hanno reputato la coppia assolutamente “normale” e la bimba «vivace, intelligente e carina». In una parola: felici. «Non sono emersi elementi – attesta la sentenza – che possano indurre a ritenere l’esistenza di un qualsivoglia disagio o disturbo della bambina causato, in ipotesi, dalla sua realtà familiare».

«Nella nostra normativa di settore non vi è, a giudizio di questo Collegio – si legge ancora nelle 12 pagine scritte dai quattro giudici – per la persona singola, quale che sia il suo orientamento sessuale, ad adottare. Esclusivamente per l’adozione legittimante (nazionale ed internazionale) viene richiesto che ad adottare siano due persone unite da rapporto di coniugio riconosciuto dall’ordinamento italiano». Ma, ricordano i giudici, il legislatore ha introdotto (art. 44 della legge 184/1983 modificata dalla legge 149/2001) anche una seconda forma di adozione, quella in «casi particolari», in base alla quale anche un singolo può essere riconosciuto genitore adottivo perché, nell’interesse superiore del minore, lo Stato deve mirare a «consolidare i rapporti con i parenti o con le persone che già si prendono cura del minore stesso».

«Sentenza ideologica che mina la famiglia tradizionale», addirittura «eversiva»; «fuga in avanti» da parte della magistratura: il centrodestra insorge, insieme al mondo cattolico più intransigente e alla cupola clericale – voci da ingerenza pre-bergogliana tornano a sollevarsi perfino dalla Città del Vaticano – fino a mandare in tilt personaggi come Carlo Giovanardi e Gaetano Quagliariello del Ncd, e Maurizio Gasparri di Fi il quale arriva a minacciare di denunciare i magistrati che hanno emesso la sentenza.

Soddisfatto, invece, il mondo lgbt. A cominciare dal sottosegretario alle Riforme Ivan Scalfarotto che esorta governo e parlamento a «cogliere la lezione»: «Non è proprio il caso di alzare barricate ideologiche su una procedura di civiltà e di buonsenso – afferma – dal governo al Parlamento le istituzioni democratiche devono cogliere con celerità la lezione impartitaci dai magistrati». «Una sentenza che infrange un tabù», commenta l’associazione dei genitori omosessuali Famiglie Arcobaleno, e che «risarcisce» le migliaia di coppie omosessuali private dell’affetto dei loro figli.