Tirano un sospiro di sollievo Ignazio Marino e la sua maggioranza, e tira un sospiro di sollievo la Capitale a rischio default. E’ passato ieri, dopo un braccio di ferro interno alla maggioranza delle larghe intese, il decreto “Salva Roma”.

Da una parte i parlamentari romani del Pd, dall’altra la senatrice di Scelta Civica Linda Lanzillotta, determinata a portare a casa un emendamento che prevedeva la messa sul mercato delle aziende municipalizzate che si occupano di acqua, trasporti e rifiuti. In commissione un punto di equilibrio si trova con un emendamento firmato dal democratico Giorgio Santini, che salva dalla vendita Acea e l’acqua dei romani, ma indica a Roma Capitale, senza obblighi, la strada di cedere quote delle proprie aziende sul mercato. Una mezza vittoria per il fronte anti Lanzillotta che però la spunta in aula, quando anche il riferimento ad Atac e Ama viene stralciato con il voto favorevole anche di Sel e 5 stelle. Dimezzati dal presidente Grasso, tra le proteste di maggioranza e opposizione, gli emendamenti presentati dai centristi e dalla Lega.

In bilico rimangono, nel teorico rispetto degli accordi con le parti sociali, le aziende che non abbiano «come fine sociale attività di servizio pubblico», leggi la maggior parte delle 80 partecipate di Roma Capitale, una su tutte Zètema, società che si occupa di eventi e cultura già finita in cima alle aziende da smantellare o riformare radicalmente. Per fare cassa c’è poi il patrimonio immobiliare da «valorizzare e dismettere».

«Sarà dura comunque per Roma – dichiara Marco Miccoli, ex segretario del Pd romano ora senatore – ma intanto abbiamo tenuto fede alla battaglia combattuta contro Alemanno, in difesa dell’acqua pubblica e delle aziende capitoline. Marino avrà la copertura necessaria per il bilancio del 2014 e la città potrà voltare pagina e rimettersi in moto». Canta vittoria anche l’ex capogruppo in Campidoglio Umberto Marroni, anche lui ora senatore, anche se parla di « impianto punitivo verso la capitale, rispetto anche agli altri comuni che hanno avuto sostegni da parte dello Stato». Mentre Lanzillotta punta il dito contro «i partiti romani che hanno bloccato l’emendamento».

Ma non è tutto rose e fiori per Roma, come sottolinea il capogruppo comunale di Sel Gianluca Peciola: «Il governo tratta Roma come la Bce tratta la Grecia». Alla capitale viene imposto un piano di rientro in tre anni da presentare a 60 giorni dalla pubblicazione della legge, e da sottoporre successivamente alle camere e al ministero del tesoro. Se non un commissariamento, ci siamo quasi. Una sfida ardua per il Campidoglio, in panne nelle ultime settimane e ostaggio delle continue fibrillazioni tra sindaco, giunta e aula, e ora stretto da ulteriori briglie alle spesa, come se non bastasse il pareggio di bilancio.